Un accordo a orologeria: Hamas nega il rilascio totale degli ostaggi, Netanyahu sotto pressione
Una notizia tanto attesa quanto divisiva si fa strada tra i vertici del potere israeliano: un accordo, ancora in fase di definizione, potrebbe consentire il rilascio di appena 33 ostaggi, tra cui donne e bambini. Una luce di speranza che, tuttavia, lascia ampie zone d’ombra.
Fonti vicine ai negoziati riferiscono che i colloqui, mediati da Qatar ed Egitto e supportati da rappresentanti delle amministrazioni americane, hanno raggiunto un momento decisivo. «Siamo molto vicini», ha detto Donald Trump a Newsmax, «devono farlo, se non lo faranno ci saranno molti guai, come non ne hanno mai visti». Un’urgenza crescente che incombe su entrambe le parti, mentre il tempo stringe e le aspettative internazionali montano.
Un conquista amara per Israele
Nella prima fase dell’accordo, infatti, ci sarà soltanto il rilascio degli ostaggi definiti «umanitari»: donne, bambini e anziani, alcuni dei quali malati. «La maggior parte di loro è ancora viva», hanno assicurato i funzionari israeliani, pur ammettendo l’assenza di conferme definitive. Il destino di molti altri resta incerto: tra i 251 sequestrati il 7 ottobre 2023, almeno 34 sono stati dichiarati morti dall’Idf.
Hamas, da parte sua, ha confermato che i negoziati sono alle «fasi finali». Un portavoce ha espresso la speranza che l’ultimo round porti a un «accordo chiaro e globale», aggiungendo che i capi delle fazioni palestinesi hanno accolto con favore i progressi.
Le famiglie degli ostaggi fanno pressione su Netanyahu
A Gerusalemme, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha affrontato una riunione tesa con le famiglie degli ostaggi, che continuano a manifestare davanti al quartier generale della Kirya. «Non lasciate nessuno indietro», è stato il grido unanime delle famiglie, chiedendo che l’esecuzione delle tre fasi sia immediata e continuativa, opponendosi a qualsiasi ritardo. Netanyahu ha espresso il suo consenso, dichiarando: «Non esiste una pausa umanitaria» e impegnandosi a riportare a casa tutti gli ostaggi. Tuttavia, ai cittadini «le parole non bastano».
A parlare è Robbie Chen, il padre di un ostaggio ucciso e il cui corpo è trattenuto a Gaza. «La maggior parte delle famiglie non accetta questo accordo. Dovrebbe esserci un’intesa che garantisca la liberazione di tutti gli ostaggi». E poi aggiunge: «Yoni Netanyahu — il fratello di Bibi ucciso dai terroristi — andò a salvare gli ebrei a Entebbe: quando li salvò, li portò via tutti. Non disse che sarebbe tornato più tardi per gli altri. Mio figlio è un eroe: non merita di restare lì».
Compromessi e calcoli geopolitici
Dietro le quinte, Israele conserva asset strategici per i negoziati futuri, inclusi terroristi di alto profilo e territori conquistati nella Striscia. Si parla di un possibile rilascio di 150-200 prigionieri palestinesi, ma solo in cambio di concessioni significative da parte di Hamas. Alcuni potrebbero essere esiliati in Egitto, Turchia o Qatar.
Il Segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha intanto presentato un piano post-bellico per Gaza, delineando un futuro che includa la ricostruzione, ma escluda qualsiasi occupazione permanente da parte di Israele. «I palestinesi meritano pace e autodeterminazione, Israele sicurezza reale, e le famiglie degli ostaggi la riunificazione», ha affermato il membro uscente dell’amministrazione Biden.
Un accordo a orologeria sugli ostaggi
Nonostante le difficoltà, un accordo per porre fine al conflitto sembra «più vicino che mai», secondo un funzionario israeliano, che ha dichiarato che i dettagli finali potrebbero essere definiti nei prossimi giorni. Tuttavia, il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Jake Sullivan ha avvertito che, sebbene ci siano stati significativi progressi, non vi è ancora certezza sul successo delle trattative. «Se non succede entro cinque giorni, non mi sorprenderò».