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Col Covid centinaia di denunce a Conte, ma in quel caso la magistratura militante chiuse un’occhio…
C’è un curioso paradosso nella narrazione giuridica italiana: se una denuncia arriva a un certo indirizzo, diventa un atto dovuto, se invece giunge a un altro, finisce nel tritacarte senza troppi convenevoli. Il caso Almasri sta mettendo in luce questa discrezionalità, che a tratti sembra sconfinare in un esercizio di potere selettivo. Perché, viene da chiedersi, nel bel mezzo dell’emergenza Covid, mentre piovevano esposti contro Giuseppe Conte, nessuno si è sentito in dovere di attivare il Tribunale dei ministri? Perché ora, invece, nel caso della denuncia di Luigi Li Gotti contro Giorgia Meloni e i suoi ministri, la magistratura ha risposto con l’agilità di un corridore olimpico?
Duecento denunce contro Conte, la magistratura in ferie
Facciamo parlare i numeri. Secondo quanto riportato dal direttore della Verità Maurizio Belpietro, l’ex premier Conte fu oggetto di duecento denunce durante il suo mandato, ma solo due di queste portarono alla sua iscrizione nel registro degli indagati. In percentuale? Un misero uno per cento. Quasi tutte le altre finirono in archivio, senza neanche il fastidio di una notifica. E non parliamo di segnalazioni anonime scritte su carta intestata di un bar dello sport, ma di esposti firmati da avvocati del calibro di Carlo Taormina, Cesare Peluso, Sandro Giustozzi e Giampaolo Giorgio Berni Ferretti.
Denunce a Conte, atti formali e sonori silenzi
Nel marzo 2021, il Corriere della Sera riferiva che nei primi mesi della pandemia erano state presentate addirittura 400 denunce contro Giuseppi in pochi mesi, suddivise tra chi lo accusava di inazione – epidemia colposa e omicidio colposo – e chi lo riteneva responsabile di una compressione autoritaria delle libertà costituzionali e di obblighi vaccinali. Quattrocento atti formali, eppure tra i magistrati nessuno ha visto, nessuno ha sentito.
Che fine hanno fatto? Archiviate per «insussistenza del reato», spiegava il quotidiano milanese. Ma allora, perché la denuncia di Li Gotti, senza nomi né dati anagrafici dei presunti responsabili, è stata subito trasmessa al Tribunale dei ministri, con tanto di iscrizione nel registro degli indagati?
Obbligatorietà dell’azione penale o discrezionalità selettiva?
I difensori dell’operato della magistratura ribadiscono il solito mantra: “Non si poteva fare altrimenti, l’azione penale è obbligatoria”. Eppure, tra il 2020 e il 2021 non ci fu lo stesso solerte interventismo…
Lo Voi, procuratore di Roma, avrebbe potuto cestinare l’esposto di Li Gotti, esattamente come sono stati cestinati i centinaia – se non migliaia, dice Belpietro – di atti presentati contro Conte e Draghi. Invece, ha scelto di inoltrarlo al Tribunale dei ministri, dando avvio a un’indagine che sembra più un “atto voluto” che “dovuto”.
Se l’azione penale fosse davvero obbligatoria in modo rigido, l’Italia sarebbe un tribunale permanente, e ogni capo del governo, indipendentemente dal colore politico, avrebbe una fila di fascicoli in attesa di giudizio. Invece, come si è visto con il caso Conte non fu così… Giustizia a orologeria?
Due pesi e due misure per Conte e Meloni
La verità è che il diritto, in Italia, si muove spesso a corrente alternata, rispondendo non solo a codici e articoli, ma anche agli equilibri di potere. Se le restrizioni imposte da Conte durante il Covid, ritenute illegittime dalla stessa Corte costituzionale, non sono bastate per far scattare indagini, com’è possibile che un caso come quello di Almasri abbia fatto scattare subito l’allarme rosso?
L’Italia non è nuova a questo genere di asimmetrie. Lo ha già visto con Berlusconi, con Salvini, e ora con Meloni. Eppure, fino a prova contraria, la legge dovrebbe essere uguale per tutti.