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Giorgia Meloni sempre al fianco dell’Ucraina. Un dovere occidentale: dunque europeo e americano

L'intervento

Giorgia Meloni sempre al fianco dell’Ucraina. Un dovere occidentale: dunque europeo e americano

Alla base dell’azione che la premier italiana ha dispiegato a favore di Kyiv c’è una precisa teoria: l’Ucraina è parte integrante dell’Europa. Difenderne l’integrità significa difenderne l’identità spirituale, e con essa quella di tutta l’Europa.

Il punto - di Renato Cristin* - 28 Febbraio 2025 alle 14:49

Tre anni sono passati dall’avvio di quella che gli strateghi del Cremlino denominarono cinicamente «operazione militare speciale» e che in realtà è una massiccia e sanguinosa invasione dell’Ucraina. La risposta dell’Occidente è stata pronta, univoca, unanime e concreta. E l’Italia ha partecipato alla difesa dell’Ucraina in tutti i modi richiesti dalle circostanze e consentiti dalle nostre leggi. Con il governo Meloni quell’aiuto si è decisamente rafforzato, perché non si trattava solo di fornire un sostegno materiale concreto, ma anche di testimoniare lo sdegno per l’aggressione subìta e la vicinanza spirituale a un popolo che, poco meno di un secolo prima, era stato vittima di un genocidio perpetrato dalla dittatura bolscevico-sovietica e che oggi rivede, anzi rivive l’incubo di quella tragedia. Per quanto riguarda dunque la posizione di Giorgia Meloni, tutto chiaro, definito e stabilizzato. In attesa, ovviamente, di una soluzione diplomatica che il governo ha, con dichiarazioni e atti, sempre ricercato. Oggi quella soluzione sembra, pur tra molte insidie, avvicinarsi, e l’orientamento – concreto e ideale – del governo italiano rimane il medesimo.

Ma da qualche giorno, le fanfare della sinistra italiana strepitano contro il Presidente del Consiglio con una solfa così sintetizzabile: dove si colloca Giorgia Meloni rispetto alla tensione che sta correndo fra Europa e Stati Uniti? Da che parte starebbe Giorgia dinanzi alla prospettiva di una pace che trascurasse le richieste dell’Ucraina? Ora, premesso che Giorgia Meloni sta ed è sempre stata dalla parte dei propri princìpi e valori, solo chi è in malafede non riconosce che nel quadro geopolitico attuale lei continua – pur nel variare delle circostanze – a tenere la rotta che abbiamo visto e apprezzato da molti anni (difesa dell’interesse nazionale nel pieno rispetto delle tradizionali alleanze internazionali) e, per quanto riguarda la specifica questione ucraina, fin dall’inizio dell’invasione russa. La domanda della sinistra si rivela dunque pretestuosa e strumentale, finalizzata cioè non a capire la verità ma a falsificare la realtà.

Detto ciò, un’analisi delle scelte del governo in questo ambito è utile per esplicitare le motivazioni retrostanti e per delinearne le implicazioni future, non certo per replicare a un’opposizione sempre più livorosa. Ancora una volta, dal governo arriva chiarezza, prima con una nota del sottosegretario senatore Giovanbattista Fazzolari, che qui riassumo: la Russia non ha potuto conquistare l’Ucraina con una guerra lampo, come aveva immaginato, perché il popolo ucraino è riuscito a contrastare con eroismo l’avanzata delle armate russe. Né la violenza militare né la disinformazione della propaganda putiniana lo hanno piegato, conclude Fazzolari, perché «la voglia di libertà di un popolo che ha conosciuto sulla propria pelle l’oppressione e la violenza sovietica è stata più forte delle mire neoimperiali delle élite russe, grazie anche al sostegno occidentale di cui dobbiamo essere tutti fieri». E poi con una dichiarazione del Presidente Meloni dinanzi agli altri leader del G7: «la priorità dell’Italia è quella di costruire, insieme ai partner europei e occidentali e insieme all’Ucraina, una pace giusta e duratura […] con garanzie di sicurezza reali ed efficaci». Tutto chiaro; più chiaro di così è impossibile.

Alla base dell’azione che Giorgia Meloni ha dispiegato a favore di Kyiv c’è una precisa teoria: l’Ucraina è parte integrante dell’Europa, può entrare nell’UE ed eventualmente aderire alla NATO, è una nazione sovrana, ha il diritto di difendersi dalle aggressioni straniere e deve ricevere solidarietà e appoggio dalle altre nazioni europee e dall’Occidente in generale, perché difendere l’integrità territoriale dell’Ucraina significa difenderne l’identità spirituale, e con essa quella di tutta l’Europa.

Che l’Ucraina sia stata attaccata militarmente dalla Russia e che l’invasione militare non sia la risposta a un’aggressione ucraina, è assodato, perché corrisponde esattamente alla logica con la quale la Russia affronta la questione del proprio «spazio vitale», una logica che è ancora quella della vecchia Unione Sovietica. Non a caso, Putin sostiene che la dissoluzione dell’URSS sia la più grande catastrofe del Ventesimo secolo. E come rimediare a questa sciagura se non tentando di ricostituire quella realtà? L’Ucraina ha avuto la sventura di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato: negli anni Trenta sotto la dominazione staliniana, oggi sotto la volontà espansionistica della Russia neosovietica putiniana. E quindi, come si può non capire che il popolo ucraino reca ancora, nella sua memoria storica, le terribili ustioni causate dal genocidio perpetrato da Stalin negli anni Trenta? (Oltre cinque milioni di connazionali massacrati con efferati mezzi e con un fine bieco non si dimenticano più). E che la vista delle bandiere con la falce e il martello nel Donbass è per gli ucraini tanto sconvolgente quanto le decine di migliaia di loro connazionali, militari e civili, uccisi in questi tre anni dall’esercito di Mosca?

Sullo sfondo dell’invasione dell’Ucraina aleggia infatti lo spettro dell’Unione Sovietica. Senza questa inquietante immagine non si capirebbero le motivazioni profonde che portano Giorgia Meloni e il suo governo a dare sostegno incondizionato a Kyiv. La destra conservatrice e liberale ha grande memoria storica, e non dimentica le battaglie fatte per la liberazione dei popoli dell’Europa orientale dal giogo sovietico, non dimentica che per decenni l’Europa occidentale è stata terreno di scorribanda per la dezinformacija politica e culturale comunista e perfino per il terrorismo finanziato da Mosca, e sa che la Russia attuale è la continuazione del sovietismo adattato alla nuova realtà globale.

Già da alcuni anni, in svariati articoli ho segnalato e dimostrato la coerenza di Giorgia Meloni, che agisce coniugando (uso qui concetti weberiani) «l’etica della responsabilità», che regge l’agire politico, con «l’etica dei princìpi», che presiede all’agire secondo coscienza. Se si analizzano i suoi atti politici, questa congiunzione appare evidente. Una sua tesi è che l’atlantismo sia un valore assoluto e che l’interesse nazionale italiano consista, anche, nell’alleanza atlantica, e proprio perciò, per difendere il nostro interesse nazionale sia necessario preservare l’atlantismo. E ritiene pure che per proteggere l’alleanza occorra anche segnalare agli alleati eventuali loro errori, parlando con chiarezza, e quindi occorra associare all’etica della responsabilità (l’atlantismo valore primario perché salvaguarda anche la nazione) quella dei princìpi (agire in conformità ai propri valori morali, spirituali e storici). Ne è esempio attuale un passaggio del suo recente discorso al CPAC, quando ha affermato che l’Occidente non esisterebbe senza gli Stati Uniti, ma nemmeno senza l’Europa. E, potremmo aggiungere, se senza gli Stati Uniti l’Europa crolla, senza l’Europa franeranno anche gli Stati Uniti. Simul stabunt vel simul cadent. Pertanto, o ci si rende conto di questa coessenzialità interna al mondo occidentale, oppure si rischia di compromettere molti decenni di lavoro comune (e dilapidare molti secoli di tradizione storica). In quel discorso, Meloni ha impartito una lezione di storia e di civiltà agli amici conservatori americani, con lealtà e con coraggio, perché nei momenti drammatici occorre essere responsabili ma anche coraggiosi.

In questa chiave, la risoluzione del 24 febbraio scorso all’ONU è un pilastro fondamentale della strategia di Giorgia, perché stabilendo il principio dell’integrità territoriale dell’Ucraina costituisce il quadro di legittimità per l’eventuale insediamento di una forza internazionale di peace keeping a protezione dell’Ucraina (e, per estensione logica, di altri territori europei) dalle mire espansionistiche russe. Che gli Stati Uniti abbiano votato, insieme con la Russia, contro quella risoluzione, chiarisce il senso della loro attuale vicinanza al Cremlino. D’improvviso, Washington ha aperto una linea di concessioni a Mosca (politiche, territoriali, economiche, perfino di immagine pubblica); da parte sua Mosca loda la «posizione equilibrata» assunta da Washington. Attenzione però, se Putin è soddisfatto e si rallegra della situazione, allora stiamo sbagliando qualcosa.

Come sostiene anche John Bolton, non si può concedere troppo a Putin, e se l’Occidente umilierà l’Ucraina, molti ucraini si distaccheranno dall’Occidente rischiando di finire nelle fauci della Russia. Giorgia Meloni, per la quale la nazione esprime la volontà di un popolo e rappresenta quindi il fondamento della vita sociale e dell’esistenza stessa delle persone, è al fianco della nazione ucraina perché è partecipe delle sofferenze del popolo e pensa che soltanto un’Ucraina forte sarà in grado di proteggerlo dalla violenza putiniana. E l’Ucraina può essere forte solo se appoggiata dall’Occidente. Ma se l’Occidente le volta le spalle, arriva la catastrofe, proprio in senso etimologico: tutto si rovescia. L’Ucraina si disarticola, il popolo si smarrisce, la nazione scompare, e l’Europa stessa inizia a sottomettersi. Putin farebbe l’en plein. Per evitare ciò, Giorgia sa bene che occorre compensare l’eventuale allontanamento di Washington dall’Ucraina con un avvicinamento di pari intensità.

Non è vero, come alcuni sostengono, che per giungere a un accordo di pace occorra essere buoni con i cattivi (e cattivi con i buoni): questo è un sofisma da decostruzionisti, non un criterio da liberalconservatori, e ovviamente non è la posizione del governo Meloni. Se all’epoca della guerra fredda Adenauer, De Gasperi, de Gaulle, Kennedy, Reagan o Thatcher avessero anche solo per un momento adottato questa prospettiva, oggi le nazioni dell’UE apparterrebbero all’Eurussia. No dunque, bisogna essere giusti con tutti, e dare a ciascuno ciò che merita. Certo, la realtà ci dice che la forza conta, ma la verità conterà sempre più della forza. Per conferma, si consulti Papa Giovanni Paolo II, che ha conosciuto e contrastato senza esitazioni la potente Unione Sovietica e la sua criminale ideologia.

Se nelle questioni di politica internazionale, l’amministrazione Trump è totalmente pragmatica, Giorgia Meloni agisce sì con realismo (e quindi anche badando a conseguire un risultato positivo concreto), senza però deflettere dai princìpi, perché ritiene che la politica debba sempre essere un impasto tra concretezza immediata e coerenza prospettica, in un giusto rapporto tra mezzi e fini. Nello specifico, la sovranità nazionale dell’Ucraina, l’identità e la libertà del suo popolo, sono un fine, non un mezzo.

 

* Professore di Ermeneutica filosofica all’Università di Trieste

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di Renato Cristin* - 28 Febbraio 2025