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Il caso. Tachipirina e vigile attesa: altro che i “no vax”, Speranza “nega l’evidenza”
Nonostante siano passati cinque anni dall’inizio della pandemia di Covid, su quella stagione continuano ad agitarsi troppe ombre. Negli ultimi giorni è tornato d’attualità il tema della “Tachipirina e vigile attesa” quale metodo di trattamento dei pazienti contagiati dal virus durante i primi mesi della sua diffusione in Italia. Il motivo è l’intervento di Roberto Speranza nel corso di un convegno in un circolo Pd del Veronese. L’ex ministro della Salute, rispondendo a una domanda di una giornalista de La Verità, ha affermato che il “protocollo” a base di “Tachipirina e vigile attesa” sarebbe un’invenzione dei cosiddetti “no vax”.
Le reazioni politiche
La sua dichiarazione ha inevitabilmente suscitato reazioni. Ma davvero le autorità sanitarie italiane dell’epoca non avallavano questa tipologia di trattamento del Covid? Occorre andare per ordine. In risposta alle recenti parole di Speranza sono intervenuti due componenti di Fratelli d’Italia della commissione bicamerale d’inchiesta sul Covid, ovvero il presidente, cioè il senatore Marco Lisei, e la capogruppo del partito in commissione, ossia la deputata Alice Buonguerrieri. “Si può dire tutto, ma non negare l’evidenza”, ha sbottato Lisei. Mentre la deputata di FdI accusa l’ex ministro di fare il “cavilloso” con le parole, perché – spiega – è sì vero che “Tachipirina e vigile attesa” era una raccomandazione e non un protocollo, ma comunque era l’approccio, caldeggiato dalle autorità sanitarie, per il trattamento del Covid. La Buonguerrieri ricorda quindi che “diversi studi hanno dimostrato, invece, la bontà delle terapie precoci domiciliari a base di antinfiammatori”.
Le due circolari ministeriali
Tale precisazione dell’esponente di centrodestra lascia supporre, pertanto, che l’indicazione delle autorità sanitarie fosse “Tachipirina e vigile attesa” escludendo l’assunzione di antinfiammatori. Andiamo allora con ordine. Il 30 novembre 2020 il Ministero della Salute emana una circolare di 16 pagine con delle raccomandazioni sul trattamento dei pazienti affetti da Covid. Nella parte finale del documento compare una tabella in cui si legge testualmente che “Paracetamolo e FANS (ossia antinfiammatori, ndr) possono essere utilizzati in caso di febbre o dolori articolari o muscolari”. Basta questa specifica per chiudere il dibattito dando ragione a Speranza? Non esattamente. Bisogna fare un salto di cinque mesi in avanti. È il 26 aprile 2021 quando il Ministero della Salute emana un aggiornamento della precedente circolare del 30 novembre 2020 in cui compare un’importante novità: la tabella a fine documento resta uguale, mentre a pagina 10, all’interno di un paragrafo intitolato “Principi di gestione della terapia farmacologica”, si legge che per i trattamenti sintomatici del Covid possono utilizzarsi paracetamolo e FANS. Ecco, nella versione precedente, quella del 30 novembre, nel medesimo paragrafo veniva citato soltanto il paracetamolo, non i FANS. È conseguenziale ritenere che se il Ministero della Salute aveva ritenuto necessario aggiornare quella circolare è perché ad aprile 2021, ovvero oltre un anno dopo il palesarsi del virus anche in Italia, non c’era ancora chiarezza sul fatto che, oltre alla Tachipirina, si potessero usare altri farmaci per trattare il Covid.
L’ammissione di Anelli in commissione Covid
Del resto è stato lo stesso Filippo Anelli, presidente dell’Ordine dei medici, ad ammettere nel novembre scorso, davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta sul Covid, che “se subentrano altri sintomi, la tachipirina è assolutamente insufficiente” e, soprattutto, che “andava precisato meglio che l’uso della tachipirina poteva essere un approccio iniziale e che poi il medico doveva valutare caso per caso”. Anelli ha dunque offerto una chiosa esplicativa: “Forse questo andava precisato”. E se a parlare così è il rappresentante dei camici bianchi italiani, difficile dubitare che la comunicazione delle allora autorità sanitarie sul trattamento del Covid sia stata quantomeno lacunosa.
I ricorsi dei medici
Una comunicazione più chiara è stata quella dell’Oms nel marzo 2020, quando il suo portavoce Christian Lindmeier dichiarava: “Raccomandiamo il paracetamolo, non l’ibuprofene (antinfiammatorio, ndr), per l’automedicazione”. Risulta improbabile definire il portavoce dell’Oms – per mutuare Speranza – un “no vax”, così come risulta difficile pensare che le autorità sanitarie italiane in quella fase contravvenissero alle indicazioni dell’Oms. Ultimo ma non ultimo elemento: a dimostrazione che “Tachipirina e vigile attesa” fosse la linea italiana contro il Covid il senatore Lisei ricorda che nel marzo 2021 il Tar del Lazio “riconobbe la possibilità di prescrivere liberamente i farmaci ritenuti più adatti secondo scienza e coscienza”, ma Speranza e l’Aifa presentarono ricorso al Consiglio di Stato, “opponendosi – aggiunge Lisei – alla libertà di cura e rifiutando di rivedere protocolli che si erano già dimostrati inefficaci”. Alla luce di tutto ciò, non appare affatto peregrino ritenere che “Tachipirina e vigile attesa” fosse il trattamento perorato dalle allora autorità sanitarie, malgrado Speranza provi oggi a negarlo liquidando il tema come un’invenzione di chicchessia.