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L'editoriale
Il paradosso tedesco. Gli elettori chiedono più destra? Governeranno i socialisti…
Gli elettori hanno premiato la Cdu e Afd ma si ritroveranno ancora una volta le larghe intese con i socialisti. Con la scusa che nei confronti di quello che ormai è il secondo partito in Germania è necessario attivare addirittura un nuovo “muro di Berlino”
La cartina “politica” della Germania, frutto delle elezioni federali di domenica, restituisce un affresco che più chiaro non si può: il popolo tedesco ha scelto le destre, di varie gradazioni e in competizione fra di loro, per riunirsi e rispondere così alla crisi sociale in cui è precipitato a causa del fallimento delle ricette socialdemocratiche e del merkelismo residuale. A ovest ha premiato l’unione Cdu/Csu, ad est la cavalcata di Alternative fur Deutschland. Scomparsa plasticamente dalla mappa la sinistra socialista, annichiliti i Verdi, auto-rottamati i Liberali. I connotati del messaggio elettorale sono evidenti: basta coalizioni “semaforo”, “Kenia” o “Giamaica”, ossia incroci e ammucchiate destra/sinistra/centro. Sarebbe giunto il tempo dunque, anche nella Repubblica federale tedesca, di una sintesi politica organica: il centrodestra di governo.
Il condizionale è d’obbligo, dato che – come accade puntualmente anche in Francia con il meccanismo del doppio turno – il risultato è stato immediatamente ribaltato “dall’alto”, senza neppure un momento formale di elaborazione. Quasi in faccia al popolo stesso, al quale viene offerta una beffa clamorosa: proprio gli sconfitti ufficiali della tornata, i maggiorenti della Spd, rientreranno con ogni probabilità dalla porta principale. Alleati scelti dal vincitore, la Cdu di Friedrich Merz, per formare l’ennesimo governo di Grosse Koalition.
Una “vecchia” coabitazione che nasce stavolta debole nei numeri – solo tredici seggi a garantire la maggioranza – e ancora più precaria nell’agenda. I governi in Germania, infatti, si sono alternati nella continuità di sistema: dinamica garantita dalla concertazione che contraddistingue il modello tedesco. Oggi però quel modello è in grave affanno: per fattori esogeni (crisi internazionali, inflazione e caro energia) ed endogeni (immigrazione fuori controllo, sicurezza, divaricazione sociale sempre più insostenibile fra ovest ed est) che hanno gettato la produzione, il settore dell’automotive e interi blocchi sociali nel caos. Gran parte della responsabilità è da addebitare proprio alla mancata risposta politica dell’ormai ex cancelliere Olaf Scholz a cui si è affiancata la radicalizzazione dell’offerta socialdemocratica che ha abbracciato il suicidio industriale assistito del Green Deal e il fanatismo dell’agenda woke. Salvo cercare il freno d’emergenza quando ormai era troppo tardi.
La reazione popolare non è stata istintiva né isterica ma, dalle elezioni nei Lander alle Europee, ha fatto registrare quel moto politico che si manifesterà di volta in volta nelle “due” Germanie le quali chiedono, con toni diversi ma ricette non poi così divaricate, più o meno le stesse cose. Si è assistito non solo, dunque, a un consenso crescente per i moderati della Cdu e agli identitari di Afd ma anche a una sintonia – al netto delle distanze, importanti, sul tema Ucraina e su alcune nostalgie fuori dal tempo da parte dei seguaci di Alice Weidel – giunta fino in Parlamento. Con una storica prima volta, quando il Bundestag ha approvato una mozione che restringe il diritto d’asilo, presentata proprio da Merz, con il sostegno della destra di Afd. Un gesto che ha destato scandalo fra i progressisti e smarrimento nelle redazioni dei quotidiani ufficiali: non certo fra gli elettori di ambedue le formazioni.
Eppure la Germania legale, il giorno dopo le elezioni che hanno sancito il nuovo “podio”, non vedrà nemmeno un tentativo di vedere coniugate queste esigenze in una proposta di governo. La richiesta del popolo è più destra? Peggio per lui: la risposta dell’establishment sarà, ancora una volta, più larghe intese con i socialisti. Con la scusa che nei confronti di quello che ormai è il secondo partito in Germania è necessario attivare non solo l’arco costituzionale ma addirittura un nuovo “muro di Berlino”. Approccio grottesco (visti i numeri) e autoconsolatorio (per le analisi) ridurre il 20,8% conquistato da Afd – maggioranza assoluta, con punte del 40%, in tutto l’est della Germania; un tedesco su cinque in chiave nazionale – a uno spauracchio “neonazista” da esorcizzare con le formule politiciste. Eppure questo è l’orientamento dell’ennesimo governo di coalizione con i socialisti che rischia, oltre ad dilatare a dismisura il vulnus fra rappresentanza e rappresentati, di porsi anche come un freno al ruolo che proprio la Germania potrebbe e dovrebbe esercitare in questa nuova fase: sui temi del rilancio industriale, delle politiche migratorie, della difesa comune europea. Altro che nuovo slancio tedesco. Il rischio è un motore ingolfato dalle proprie, insanabili, contraddizioni.