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La sfida della sostenibilità, un approccio realistico per un cambiamento equo e praticabile
Le direttive e i regolamenti emanati dall’Unione Europea su temi fondamentali come il trasporto su gomma, gli imballaggi e l’efficienza energetica degli edifici perseguono obiettivi nobili e indiscutibilmente condivisibili. Chi potrebbe opporsi alla necessità di ridurre le emissioni del traffico stradale per favorire la de-carbonizzazione? Chi potrebbe negare l’importanza di ridurre il numero degli imballaggi per limitare l’impatto ambientale? E ancora, chi potrebbe contestare l’urgenza di migliorare l’efficienza energetica degli edifici, in linea con l’adozione sempre più massiccia delle energie rinnovabili?
Tuttavia, il vero nodo della questione non sta nelle finalità, ma nelle modalità con cui questi provvedimenti vengono concepiti e attuati. La scelta tra regolamenti e direttive, le tempistiche imposte e le difficoltà pratiche che alcune nazioni devono affrontare per rispettare tali normative possono risultare particolarmente onerose, se non addirittura dannose per interi settori economici.
Sostenibilità, regolamenti contro direttive: il caso degli imballaggi
Un aspetto critico è rappresentato dalla crescente preferenza dell’Unione Europea per i regolamenti anziché le direttive. Un regolamento, infatti, ha un’applicazione immediata e uniforme in tutti gli Stati membri, senza margini di adattamento alle specificità nazionali. Questo approccio, sebbene possa garantire coerenza e tempestività nell’azione normativa, rischia di ignorare le profonde differenze tra i vari Paesi dell’Unione, sia in termini produttivi che geografici e sociali.
Un esempio emblematico è il recente Regolamento sugli imballaggi, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE la scorsa settimana. Mentre la normativa precedente (Direttiva 94/62) lasciava spazio ai singoli Stati per adattare le misure alle proprie realtà, il nuovo regolamento impone direttamente le modalità di riduzione degli imballaggi, con l’obiettivo di un calo del 15% entro il 2040. Il problema è che il regolamento inizialmente prevedeva l’obbligo del riuso degli imballaggi per tutti, indipendentemente dallo stato di avanzamento delle rispettive politiche di gestione dei rifiuti.
Per Stati come l’Italia, che vanta già tassi di riciclo superiori a quelli richiesti dall’Ue, l’imposizione del riuso avrebbe potuto risultare controproducente. Grazie a un’intensa negoziazione, è stato possibile ottenere deroghe importanti per la nostra Nazione, tra cui l’esenzione per le bottiglie di vino e alcuni imballaggi in carta e bioplastica. Tuttavia, restano ancora molte criticità e ambiguità, come il dibattito sulla messa al bando della busta di plastica per l’insalata sotto 1,5 chili, su cui permangono incertezze interpretative.
La direttiva “Case Green” e il caso italiano
Anche quando l’UE sceglie lo strumento della direttiva, vincolando gli Stati solo sugli obiettivi finali e lasciando libertà nei mezzi per raggiungerli, le difficoltà di attuazione possono essere enormi. La Direttiva “Case Green” (2024/1275) impone agli Stati UE di ridurre il consumo energetico degli edifici residenziali del 16% entro il 2030 e fino al 22% entro il 2035, con l’obbligo di emissioni zero per i nuovi edifici pubblici dal 2028 e per le abitazioni dal 2030. L’obiettivo è azzerare le emissioni entro il 2050. Tuttavia, in Italia oltre il 70% degli edifici ha più di 70 anni e ristrutturare oltre 5 milioni di immobili è una sfida enorme.
Le tempistiche di attuazione delle normative europee rappresentano una criticità, poiché anche con periodi di transizione più lunghi, gli interventi richiesti possono stravolgere interi settori economici. L’adeguamento a standard stringenti in tempi brevi risulta oneroso e destabilizzante, mettendo a rischio la competitività delle imprese e i livelli occupazionali.
In conclusione, sebbene gli obiettivi ambientali ed energetici dell’Ue siano condivisibili, la loro implementazione deve considerare le specificità dei singoli Stati. Un approccio realistico e sostenibile è essenziale per garantire che la transizione ecologica avvenga senza impatti economici e sociali sproporzionati. L’UE deve assicurarsi che nessuno rimanga indietro, promuovendo un cambiamento equo e praticabile. Una strategia troppo rigida rischia di compromettere il successo delle politiche ambientali, rendendo necessaria una maggiore flessibilità per adattarsi alle diverse realtà nazionali.