
L'analisi
L’Anm usa la sentenza Delmastro come una clava contro il governo. La riforma del Csm li fa tremare
Dopo la condanna in primo grado del sottosegretario i giudici militanti tornano sulle barricate contro Palazzo Chigi: hanno paura di perdere il controllo della magistratura e la fine delle correnti
L’obiettivo è sempre lo stesso cercare disperatamente la spallata al governo, che gode ottima salute, e affossare la riforma Nordio sulla giustizia, temuta come la peste dalle toghe militanti. La condanna in primo grado a otto mesi del sottosegretario Delmastro, dopo la richiesta di assoluzione del pm, è un’altra occasione ghiotta (ma sprecata) per sinistra e giudici di provata fede progressista per sostenere la pericolosità della riforma e riaprire lo scontro con Palazzo Chigi.
Sentenza Delmastro, l’Anm getta la maschera
Il giorno dopo il verdetto della procura l’Anm getta la maschera usando la sentenza sul caso Cospito come una clava contro il governo. Il sindacato delle toghe va all’attacco diretto della premier Meloni che a caldo si è detta ‘sconcertata” per la sentenza di condanna del sottosegretario. Apriti cielo. “Siamo sconcertati – si legge in una nota della giunta dell’Anm – nel constatare che ancora una volta il potere esecutivo attacca un giudice per delegittimare una sentenza”. Nel mirino, come da copione, anche il Guardasigilli. “Siamo disorientati nel constatare che il ministro della Giustizia auspica la riforma di una sentenza di cui non esiste altro che il dispositivo”.
Le toghe rosse usano la sentenza come una clava contro la riforma
E giù con gli attacchi di rito. “Sono dichiarazioni gravi” che – udite udite – minacciano “la fiducia nelle istituzioni democratiche”. Il sindacato delle toghe si precipita a capovolgere la narrazione. La condanna di Delmastro dimostrerebbe l’indipendenza della giustizia, non serve un giudice a Berlino, dicono e plaudono al verdetto del tribunale di Roma che “ha semplicemente applicato la legge con onore e responsabilità”. I giudici giocano a carte scoperte, il vero bersaglio è la riforma strutturale della giustizia sulla quale Palazzo Chigi non intende fare passi indietro. Peccato che non dicano una parola sulla composizione a dir poco schierata a sinistra del collegio giudicante. Un particolare non secondario sottolineato dallo stesso Delmastro, intorno al quale governo e maggioranza fanno quadrato di fronte alle opposizioni che gridano sguaiate alle dimissioni e al ‘disonore’. Imparzialità dei giudici? Non sembrerebbe.
Il collegio giudicante monopolizzato da Magistratura democratica
“È un dato di fatto – osserva Delmastro intervistato dal Corriere della Sera – che il collegio fosse fortemente connotato dalla presenza di Md. Anche dopo la sostituzione di un componente avvenuta due udienze fa. Io non ho onore? Il mio onore è aver difeso il carcere duro e l’ergastolo ostativo. Nella mia visione manca di onore chi parla con terroristi e mafiosi”. La furia delle toghe militanti è certificata ancora una volta. Così come la natura politica della sentenza, secondo un vezzo antico della sinistra di utilizzare la giustizia come arma politica. Oltre alla separazione delle carriere a preoccupare la casta è il sorteggio dei membri del Csm che manderebbe all’aria la logica delle correnti, autentico cancro della magistratura.
Il sorteggio del Csm è il vero incubo delle toghe politicizzate
Il vero incubo del gotha della magistratura è il meccanismo del sorteggio previsto dalla riforma, che mina gli equilibri consolidati negli anni con monopoli e rendite di posizioni intoccabili. Da ordine dello Stato, come prevede la Costituzione, a potere autoreferenziale impegnato a conservare se stesso. Lo status quo, al contrario, permettere di varcare la soglia del Csm a “coloro – parola di Palamara, già presidente dell’Anm – che rispondono al sistema dei soliti noti, mentre rimarranno esclusi coloro che ogni giorno amministrano la giustizia nei tribunali fuori dai meccanismi di potere”. Proprio il monopolio di Magistratura democratica nel collegio giudicante dimostra l’importanza di una riforma che scardina il potere quasi assoluto delle correnti. Non a caso Md ha il nervo scoperto. Non fa mistero della crociata armi in pugno contro la riforma la pubblicazione online di Magistratura democratica, “Questione giustizia”, che si affretta a difendere l’operato dei colleghi. “Non è un complotto, non è una congiura. È il processo, con la sua fisiologia e la sua logica”.
Il governo va avanti dritto sulla strada delle riforme
La verità è che la sentenza suona come un messaggio mandato dalla sinistra giudiziaria al governo. E nessuno si interroga sulla ‘ciccia’ della questione: che cosa andasse a fare una delegazione del Pd da un terrorista ristretto nel regime carcerario duro previsto dall’art. 41 bis. Altro che dimissioni, siamo di fronte a un Pd che si costituisce parte civile contro un sottosegretario che opera per tutelare le istituzioni da infiltrazioni di terroristi anarchici e mafiosi. Per questo la condanna non solo non preoccupa né il governo né l’interessato, ma per il sottosegretario è una medaglia da appuntare sul petto. Se il ministro Nordio ha espresso “disorientamento e dolore” anche il vicepremier Antonio Tajani parla di una decisione politica volta a ostacolare la riforma della giustizia, “una sentenza senza un grande fondamento giuridico”. E ha assicurando che il governo andrà avanti con le riforme.
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