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L’anniversario. La sconfitta in Afghanistan dell’Urss è stata l’inizio della fine per il comunismo sovietico
La sconfitta subita dall’Urss in Afghanistan ha rappresentato l’inizio della fine per il comunismo sovietico, che culminerà con la caduta del muro di Berlino il 9 novembre del 1989. Il 2 febbraio del 1989, 32 anni prima dell’ultimo ritiro delle truppe americane in Afghanistan, l’ultimo contingente militare dell’armata rossa fu costretto ad abbandonare la capitale di Kabul dopo dieci anni di guerra. L’invasione dell’ormai terra talebana iniziò nell’anno 1979, quando il segretario del Pcus (Partito comunista dell’Unione sovietica) Leonid Breznev decise di intervenire militarmente nel Paese dopo i disordini causati dall’uccisione del presidente filo-sovietico Nur Mohammed Taraki, da parte del primo ministro Hafizullah Amin.
Dopo aver monitorato gli eventi nel Paese afghano, il segretario generale comunista russo rimase intimorito dalla possibilità che gli Usa potessero intervenire in Afghanistan, un Paese che all’epoca era diventato uno Stato satellite. Proprio per questo motivo, decise di programmare l’intervento delle truppe sovietiche sul posto.
Il 10 dicembre del 1979 lo stato maggiore dell’Armata rossa fu incaricato di pianificare l’invasione con una divisione aerotrasportata e due motorizzate, con lo scopo fittizio di “provvedere ad aiutare le popolazioni amiche afghane ristabilendo l’ordine politico e condizioni vantaggiose allo scopo di prevenire possibili azioni degli Stati confinanti contro l’Afghanistan”, secondo quanto riportato da Inside over. Poco più di due settimane dopo, l’Urss era riuscita ad invadere il Paese con 50mila uomini occupando tutti i punti nevralgici dello Stato mediorientale, ma incontrò ben presto la resistenza locale dalle milizie mujaheddin e dai guerriglieri guidati dal generale Ahmad Massoud, islamico ma fervido oppositore dell’organizzazione fondamentalista talebana. Per i mujaheddin, rinomati protagonisti della guerra contro l’imperialismo sovietico, combattere contro l’invasore comunista rappresentava l’unione dell’ideologia islamica a quella della liberazione contro una superpotenza dedita all’ateismo, come raccontato ancora da Inside over.
La sconfitta in Afghanistan nell’Urss: l’armata rossa in difficoltà e l’inizio del fallimento
Nel primo anno dell’invasione sovietica in Afghanistan, che va dal 1979 al 1980, le truppe dell’Urss si impegnarono a costruire delle efficienti linee di rifornimento e le basi militari per controllare il territorio. Purtroppo per l’esercito comunista, le precauzioni non bastarono per conquistare una posizione di vantaggio nei confronti dei combattenti locali. Ben presto le condizioni climatiche e territoriali risultarono proibitive per i soldati rossi, così come l’espugnazione dei fronti di montagna dato che i mezzi in dotazione delle truppe comuniste erano composti da mezzi di trasporto corazzati e pesanti. I mujaheddin iniziarono le proprie azioni attaccando il punto debole delle truppe sovietiche, ovvero le linee di comunicazione.
Dal 1980 al 1985, il contingente militare russo attivo sul territorio fu costretto ad abbandonare la strategia difensiva, lanciando operazioni militari su vasta scala ma senza ottenere propriamente il successo immaginato: la resistenza armata afghana, che aveva già subito ingenti perdite e gli attacchi alle proprie basi operative chiamate “santuari”, scelse ancora una volta la tattica del sabotaggio ma stavolta nei confronti delle linee di rifornimento dell’armata rossa. L’esercito dell’Urss iniziò presto ad arrancare subendo molte perdite durante gli anni, tanto che gli strateghi dovettero applicare la tattica di “ricerca e distruzione” per cercare di indebolire ulteriormente il nemico: uno stratagemma non proprio utile visto l’epilogo del conflitto.
L’ascesa del Presidente delle repubbliche sovietiche Mikhail Gorbacev al Cremlino nel 1985 contribuì alla sconfitta dell’Armata rossa in Afghanistan. Il segretario del Partito comunista sovietico sostenne l’idea del disimpegno in Afghanistan, consentendo ai mujaheddin di rafforzare – anche se di poco – le proprie schiere.
L’insuccesso dell’Urss in Afghanistan si è realizzato grazie alla politica pacifista di Gorbacev
L’ultimo capitolo del conflitto si aprì nel 1986, quando il primo contingente militare russo composto da 15mila unità fece ritorno alla base mentre nello stesso anno arrivarono i primi aiuti militari dall’Occidente attraverso il Pakistan. I mujaheddin entrarono in possesso dei manpads (sistemi di difesa aerei portatili) di fabbricazione americana, capaci di bersagliare un velivolo a 6mila metri di quota e costringendo i sovietici a cambiare ancora una volta le proprie tattiche di guerra.
Dal 1987 i militari comunisti si limitarono semplicemente a rispondere contro le provocazioni dei mujaheddin e nel 1988 si arrivò a un accordo nella città svizzera di Ginevra: il ritiro dei soldati sovietici fu graduale e durò per un anno intero, ma nonostante ciò Gorbacev si dimostrò capace di ottenere la pace in poco tempo, tanto che nel secondo giorno di febbraio del 1989 cessarono definitivamente le ostilità tra comunisti e afghani. La sconfitta dell’Urss in Afghanistan, come previsto da alcuni strateghi americani, portò l’Urss al collasso dopo nemmeno un anno.
Le violenze sovietiche contro i civili afghani e il cattivo rapporto tra musulmani e comunisti
Durante gli anni della guerra in Afghanistan, l’Armata rossa sviluppò un sentimento di astio nei confronti della popolazione autoctona. I soldati iniziarono ad utilizzare la violenza nei confronti della popolazione civile afghana, distruggendo i villaggi e minando i terreni. Così molti cittadini furono costretti all’esodo, mentre altri decisero di arruolarsi con i mujaheddin animati molto probabilmente dal senso di vendetta nei confronti dell’invasore.
Il rapporto tra popolazioni islamiche e comunisti non fu mai idilliaco, infatti già dal secondo decennio del ‘900 dopo l’inizio della rivoluzione d’ottobre di Lenin, Mosca inizio ad avere dei seri problemi nella gestione degli stati musulmani vicini. Il Tagikistan e il Turkmenistan, che videro la ribellione dei miliziani Basmachi (composti da ex prigionieri politici europei e da musulmani) negli anni 20 contro l’Armata rossa leninista, sono la rappresentazione pratica dell’insofferenza musulmana e in parte europea verso le imposizioni tiranniche del comunismo. Il Movimento basmaco fu represso ufficialmente nell’anno 1947 dall’Armata rossa.
L’Unione sovietica e gli Usa tornano sullo stesso piano nella disfatta
Con la sconfitta dell’Urss in Afghanistan, si è chiuso l’ultimo conflitto del capitolo storico conosciuto come Guerra Fredda. Gli Usa e l’Unione sovietica tornarono finalmente sullo stesso livello: nel 1975 gli americani si erano arresi dopo una campagna fallimentare in Vietnam che fece vacillare la convinzione di un Occidente forte e coeso, capace di abbattere le istanze comuniste che si estendevano nella zona orientale del nostro pianeta nel secolo scorso. Poi, con l’insuccesso dell’esercito sovietico in Afghanistan e la caduta del muro di Berlino, Mosca fu costretta a fare i conti con lo sgretolamento del proprio impero, basato su una falsa uguaglianza che generò terrore, rivolte e fame.