
La denuncia
Lasciò morire la figlia di stenti, ora Alessia Pifferi fa la vittima: “In carcere mi picchiano, mi dicono mostro”
La donna che aveva lasciato morire di stenti sua figlia, Alessia Pifferi, ora denuncia di essere a sua volta vittima di violenze e sostiene di essere stata picchiata dalle altre detenute in carcere: un referto parlerebbe di quattro punti di sutura al viso. «In carcere le altre detenute mi hanno picchiata, la notte mi urlano “mostro”, “assassina”, “devi morire”, “meriti tante botte”», erano state le denunce già fatte, nelle scorse settimane, al processo. Ora la nuova denuncia, di cui parla oggi il “Corriere della Sera“.
Alessia Pifferi e la condanna all’ergastolo
La 38enne è stata condannata in primo grado all’ergastolo per omicidio volontario aggravato per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana nel luglio 2022. Sono indagati per ipotesi di falso e favoreggiamento la legale dell’imputata, l’avvocata Alessia Pontenani, alcune psicologhe e anche Marco Garbarini, psichiatra e consulente della difesa.
Alessia Pifferi è stata condannata all’ergastolo per l’omicidio volontario della figlia Diana, di soli 18 mesi, avvenuto nel luglio 2022. La Corte d’Assise di Milano ha ritenuto che la donna avesse lasciato la bambina da sola in casa per sei giorni, durante i quali la piccola è morta di disidratazione. La condanna è stata emessa il 13 maggio 2024, con l’aggravante dei futili motivi e del vincolo di parentela.
Secondo le motivazioni della sentenza, Pifferi ha agito per un “futile ed egoistico movente”, ossia “regalarsi un proprio spazio di autonomia”, trascorrendo un lungo fine settimana con il compagno. Questo comportamento ha comportato la morte della figlia, che è stata lasciata senza cure adeguate. La difesa aveva chiesto l’assoluzione, sostenendo che la donna non avesse intenzione di uccidere la figlia. Tuttavia, la Corte ha ritenuto che l’abbandono della bambina fosse un atto volontario e consapevole, configurando il reato di omicidio volontario.
Assente in aula l’imputata
Alessia Pifferi rinuncia ad essere presente in aula e, da quanto si apprende, la scelta è legata al fatto di essere stata aggredita, da un’altra detenuta, nel carcere di Vigevano (Pavia). Un attacco che sarebbe costato qualche punto di sutura sul volto della 38enne condannata in primo grado all’ergastolo per la morte della figlia Diana, abbandonata per sei giorni e lasciata morire di stenti a soli 18 mesi nell’estate 2022.
E gli attacchi non mancano neanche in aula. L’avvocato di parte civile, il legale Emanuele De Mitri, che tutela gli interessi della sorella e della mamma dell’imputata, rende noto di aver ricevuto lo scorso 15 febbraio l’avviso di deposito da parte del pm Francesco De Tommasi – rappresentante della pubblica accusa nel processo di primo grado – degli atti del cosiddetto fascicolo ‘Pifferi bis’ ossia un’inchiesta che riguarda l’attivita di alcune psicologhe (indagate) che in carcere avrebbero somministrato e ‘pilotato’ un test cognitivo e avrebbero suggerito all’imputata di raccontare di presunti abusi per usufruire di eventuali benefici nel processo. Documenti che ampliano il fascicolo del processo e che l’avvocato chiede di acquisire, ma del deposito fatto dalla procura la Corte e la Procura generale non sono a conoscenza.
Sull’acquisizione degli atti, prima ancora che la difesa, si è opposta il sostituto pg Lucilla Tontodonati che ha definito la richiesta di acquisizione “inammissibile e tardiva”. Di più: la mossa del pubblico ministero De Tommasi viene definita “un’anomalia fatta da chi non è titolare del procedimento” e riguarda “tutto atti precedenti alla sentenza di primo grado. Qualora fossero stati utili all’andamento del processo sarebbero stati utilizzati in quanto rilevanti. La richiesta è dunque inammissibile e tardiva, e presentata da chi non ha titolo per interloquire in questo processo”. Sull’acquisizione di questi documenti i giudici d’appello sono in camera di consiglio per decidere.