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La questione culturale

Lode all’Europa, quella vera: perché serve un’apologia del Vecchio Continente

Abbiamo una storia comune che va riscoperta, studiata e promossa: l'identità si costruisce così, non con la burocrazia

Cultura - di Ulderico Nisticò - 16 Febbraio 2025 alle 07:30

Insidie delle omonimie! Nessuno pensi che voglia lodare quest’Europa vagamente Unita, in quanto struttura burocratica da partenogenesi, e roba simile. Dico l’Europa amata da Zeus e madre di Minosse; e in quanto quella che sarebbe, secondo geografia, una piccola propaggine dell’Asia, però se ne distingue nettamente per identità storica e culturale. Identità che mi pare alquanto affievolita.

È necessaria un’apologia (letteralmente, la difesa) dell’Europa, dopo decenni di una cultura ufficiale di negazione e condanna, in nome di un generico però pervicace terzomondismo, un terzomondismo qualsiasi, purché collocato in qualsiasi landa di qualsiasi altro continente, e anche di qualsiasi altra epoca storica o preistorica, o anche futura, purché il tutto sia diverso dall’Europa. Nulla di male conoscere e studiare altri popoli, soprattutto da quando l’etnologia si è sgravata dalle leggende di Rousseau sui “selvaggi primitivi buoni liberi felici”, scoprendo l’ovvio, cioè che non sono né buoni né liberi né selvaggi, e tanto meno felici: non lo sono manco i progrediti, è palese.

È però banale che, per conoscere e magari anche, con misura, apprezzare culture altrui, non è affatto necessario negare la nostra.
È dunque ora di recuperare l’immagine dell’Europa: e metto le mani avanti, l’immagine vera e genuina, senza pietose reinvenzioni. La storia europea è molto complessa e contraddittoria; e basti avvertire che è ancora vivo chi potrebbe raccontare di persona la Seconda guerra mondiale, che, a mari di sangue, si combatté esattamente in Europa. Sarebbe chilometrico l’elenco di tutte le altre guerre che ricordiamo, in testa quelle degli Ateniesi che, belligerando a tutto spiano a 360 gradi, riuscirono a spacciarti per miti poeti e filosofi tutti quanti! Quelle di Roma, che però poi assicurò secoli di quasi inalterata pace. E le guerre cavalleresche tra re quasi tutti primi cugini tra loro; le quali sui libri appaiono apocalittiche, però sono quasi scampagnate, al confronto di quelle dei giacobini e di Napoleone. Né scordiamo le spedizioni d’Oltremare contro popoli indigeni, a loro volta tutt’altro che pacifici.

Quando si vuole raccontare la storia, raccontiamola tutta. Come s’intravede, non ci troviamo di fronte a un quadretto idilliaco, e gli Europei, come tutti gli altri esseri umani, furono e sono, appunto, esseri umani con tutti i pregi e tutte le colpe. Cos’hanno di peculiare? Tra una battaglia e l’altra, l’Europa elaborava la religione, la poesia, l’arte, la storiografia, la scienza, la filosofia. Senza cadere nel vizietto infantile di vantare chi era “più grande”, non ci basterebbero decine di articoli per anche solamente enumerare Omero, Saffo, Eschilo, Fidia, Platone, Aristotele, Cicerone, Cesare, Virgilio, Traiano, Dante, Petrarca, Michelangelo, Kant, Nietzsche, Marconi… e i grandi papi; e i santi, che non furono solo santi, bensì modelli di cultura… e mi fermo. Resta da aggiungere la sterminata ricchezza di opere d’arte di ogni epoca e di ogni destinazione.

Se dunque vogliamo, e dobbiamo recuperare l’Europa, e farne, con tutte le cautele del caso, Europa Nazione, bisogna compiere le stesse operazioni che, dagli ultimi decenni del XVIII secolo, condussero, ai primi del XIX, alla nascita, nel senso di presa di coscienza, delle singole Nazioni: Fichte ed Hegel vennero prima della vittoria tedesca di Lipsia su Napoleone; Foscolo e Manzoni e Leopardi, molto prima del 1860. Parliamo di Nazioni, che si sono spesso definite per contrapposizioni e limiti territoriali; ma, a ben vedere, la vicenda europea è intrecciata di ogni sorta di vicendevoli apporti etnici e culturali e politici: non c’è luogo d’Europa, e quindi del resto del mondo, che non sia o tutto o parte neolatino; però una buona fetta dell’italiano ci viene dai tanto vituperati, anzi ignorati Longobardi; e il nonno della lingua italiana, Federico II, era di papà tedesco e mamma normanna. A proposito, una discreta metà degli Stati europei, incluse Gran Bretagna e Ucraina e Russia, hanno origine politica nei Vichinghi e Normanni. E così dicasi per il Regno, poi due, poi di nuovo uno, di Italia Meridionale e Sicilia. Quanta materia da studiare e cantare!

In questo 2025, però, non c’è alcun poeta dell’Europa; e meno ancora degli storici che rendano popolare il passato. E, per ora, non c’è niente che ne susciti qualcuno e ne favorisca l’influenza sulla mentalità, quindi sulle coscienze. Servono i mezzi della cultura: quelli antichi come poesia e racconto e teatro; quelli più tecnologici come cinema e televisione… e social e IA. Serve perciò una seria politica culturale europea. È banale, ma lo dico lo stesso, che una politica culturale europea non può nascere nelle scrivanie dove dei passacarte ignoranti con laurea, anzi lauree, legiferano sui tappi. Uno dei grandi avi dell’Europa, Platone, insegna che i tecnici devono eseguire, mica comandare. Lode, ma non certo a questa Ue.

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di Ulderico Nisticò - 16 Febbraio 2025