![Napoli e la fenomenologia del Borrelli eroe: e se fosse solo un furbacchione a caccia di facili voti? Napoli e la fenomenologia del Borrelli eroe: e se fosse solo un furbacchione a caccia di facili voti?](https://www.secoloditalia.it/files/2025/02/napoli_borrelli-860x358.jpg)
Napoli e la fenomenologia del Borrelli eroe: e se fosse solo un furbacchione a caccia di facili voti?
Francesco Emilio Borrelli è uno uomo che ha fatto della politica il suo mestiere. Dagli esordi giovanili nelle università, strizzando l’occhio al suo nume tutelare Alfonso Pecoraro Scanio, finito nel mattatoio degli ipocriti rispetto a ciò che professava, ora riciclatosi nei luogocomunismi partenopei come incensatore della pizza napoletana, il verde Borrelli ha avuto la capacità di restare sempre a galla tra le intemperie della politica.
Giovane ma già con un buon cursus honorem, ha abbracciato come un personaggio sciasciano la lotta alla criminalità, facendo largo uso di quel giustizialismo epidermico verso chi veniva invischiato in qualche calvario giudiziario, risoltosi nel clamoroso nulla.
Ergendosi ad epigone del giustizialismo più che del giusto giustiziere, ha tracciato la sua narrazione, lo storytelling perfetto da seminare tra la sua fetta di followers prima che di elettori. Si sa, far la voce seriosa di un menestrello robesperiano fa sempre breccia sulla gente che ama giudicare prima di esser giudicata nei luoghi adatti. E costruire ogni volta la narrazione dell’ispettore di ferro non è cosa da poco: spesso bisogna reinventarsi perché il copione potrebbe stancare.
Si potrebbe dire che Borrelli sia un personaggio scolpito dalla penna di Leonardo Sciascia, scrittore dotato di quel rovello morale che lo spingeva ad attraversare l’opacità dei fatti e le apparenze, per affrontare il senso vero e profondo delle cose.
Non che faccia male a scovare un parcheggiatore abusivo, una situazione di incuria urbana o una lampante situazione di abuso. Rientrerebbe pure tra le funzioni. Ma Borrelli, che dovrebbe portare i misfatti della Napoli lazzarona negli emicicli in cui è stato eletto, per qualche ragione di rendimento politico-elettorale, svicola tra gli ambienti del Palazzo preferendo il centro di imputazione per antonomasia: la Rete. Ma c’è anche un fattore prettamente tattico in questa trasformazione digitale di Borrelli: l’uomo ha inteso che le preferenze viaggiano in rete e in rete bisogna profondere il mestiere di difensore della pubblica civiltà.
Non che faccia male a denunciare via web una macchina in doppia fila o qualunque altra abitudine illegale fatta consuetudine nei secoli dal suo popolo, quello partenopeo, che ha tatuato sul petto il gallone del tirare a campare oltre le regole e la legalità. Questo allure serioso da impiegato della legalità si immerge ora negli strumenti digitali più utilizzati dalla gente. Ed ogni fatto o misfatto che capita a Napoli, vero, veritiero o artefatto, è occasione di presenzialismo che si tramuta in una caterva di like e consensi che passano senza la lente del ragionamento complessivo. Si resta sul piano della verosimiglianza.
E allora tocca misurarsi coi tempi che corrono, in cui la percezione visiva sparata da un video virale può addirittura elevarti ad influencer dei più deboli di analisi. Diventa facile farsi portatore delle istanze più disparate: ogni presenza, ogni video è fonte di consenso. In un certo senso, Borrelli inaugura una figura nuova: il mestierante della politica 4.0 che disintermedia le naturali vie della politica, delle aule di dibattito e delle battaglie e trasloca il gioco della politica sulla rete, illudendo un po gli utenti-cittadini di far parte del gioco. Non ultimo, Borrelli è stato a Roccaraso, divenuta trend tropic del giorno per l’invasione subumana sollecitata da qualche tiktoker da strapazzo, che inconsapevolmente diventano suoi competitors digitali.
Infatti, Borrelli, videocamera in groppa e scorta, si presenta sul posto ed inscena la sua narrazione, quella del fustigatore indefesso. E giù i likes, i followers, le chiamate in Tv, le richieste di aiuto da parte della gente che ora lo vedono come l’uomo al di sopra di una legge che non funziona come dovrebbe funzionare.
Ognuno fa politica come gli pare, per carità, ma Borrelli sembra aver capito il gioco del consenso e non deve sforzarsi sui territori a pigliarsi voto su voto all’atto delle elezioni. Il suo consenso viene dalla rete, è fluido, non conosce colore e segue le regole dei social. Così Borrelli è diventato un po’ la Ferragni della politica, laddove la politica ha smesso di far la sua parte. Laddove c’è il trend topic del giorno, lui c’è. Ci vorrebbe un fact-checking per tutte imperversate di Borrelli. Sono redditizie, non tanto al vivere civile, quanto a cambiare le cose che segnala?
Borrelli smette i panni dell’idealista ambientalista e diviene il censore della cosa pubblica, smarcandosi dai colori politici e collocandosi al centro di un set audiovisivo in cui lo status del politico di sinistra diventa fluido, castigato, per certi versi ingombrante. Prova ne è che Borrelli sfugge alle prese di parte della politica politicante: con Vincenzo De Luca sì e no, con Manfredi forse sì, forse no. Perché Borrelli sta con se stesso in questo nuovo ruolo di fustigatore dei costumi partenopei. Dà l’impressione di seguire il dover esser per godersi i lasciti dell’apparire. E con questa tecnica sopraffina di gioca la sua partita nell’agone delle aspirazioni politiche.
E gli va dato atto che il mestiere del narratore alternativo è difficile, perché si fonda sui costrutti della psicologia delle masse, che cercano il surrogato della giustizia, “l’avvocato improvvisato”, tra i vuoti della legge che invece un parlamentare eletto è chiamato a fare. Ci hanno già provato i grillini ma sono stati poi scoperti alla fine: era tutto tornaconto personale camuffato per interesse popolare. Auguriamo a Francesco Emilio Borrelli una narrazione differente che vada oltre i confini dei suoi stilemi moralisteggianti.