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Nel tempio di Pannella e Tortora, giuristi e politici in difesa dell’ex ministro Landolfi e della riforma Nordio
C’è un’Italia che processa e condanna preferendo affermare un dubbio piuttosto che accogliere una verità. Un’Italia dove la giustizia non premia chi – in nome dell’innocenza – rinuncia alla prescrizione, ma che vuole sanare le proprie contraddizioni cercando un colpevole a tutti i costi da offrire al pubblico, anche dopo sedici anni di processi infiniti. Un’Italia in cui chi fa politica nella terra sbagliata non può non essere, almeno un poco, colpevole di qualcosa. E quando la gogna finisce, resta solo un marchio indelebile, per chi non si arrende a una sentenza ingiusta e miope. C’è questa Italia in Anatomia di un’ingiustizia. Il processo a Mario Landolfi (Guida Editori, pp. 220, 18 €), operazione a “carte aperte” raccontata nel libro di Luca Maurelli, presentato a Roma il 4 febbraio nella storica sede del Partito Radicale.
Un convegno per dissezionare la mala-giustizia, che non è un errore…
Un convegno che ha avuto il sapore della denuncia, con nomi di peso a discutere di come la giustizia possa lasciarsi influenzare dai pentiti, possa incorrere in contraddizioni processuali inverosimili e magari lasciarsi condizionare dal contesto storico e politico: un libro che condensa tutti i guasti del sistema, quelli che la riforma Nordio prova ad affrontare. Nodi che arrivino da lontano, dai tempi di Berlusconi, dai tempi dei ministri di destra, come Landolfi, messi in mezzo dai pm su un “fatterello di paese” e poi condannati con una “sentenzina” fragile ma dolorosa.
Al tavolo dei lavori, giuristi e politici, con la foto di Pannella sullo sfondo, martedì scorso c’erano il professor Vincenzo Maiello, gli onorevoli Enrico Costa, Marco Follini, Amedeo Laboccetta, l’autore Luca Maurelli e a moderare, Lorena D’Urso, esperta di giustizia, di Radio Radicale. E poi c’era lui, Mario Landolfi, l’uomo perbene trasformato in “colpevole” da «una giustizia che non sa correggere i propri errori».
Il booktrailer del libro
Mario Landolfi e la sua storia
«Quel giorno provò la sensazione di morire. Non riuscì a salire le scale», ricorda Luca Maurelli raccontando il giorno in cui – lo scorso anno – l’ex potente ministro di An per la prima volta trovò il coraggio di parlare della propria odissea giudiziaria, proprio al civico 76 di via di Torre Argentina, sede del Partito Radicale. Quel giorno Landolfi provò la brutta sensazione di un innocente “non creduto” costretto ad ammettere di aver perso contro la giustizia: respiro corto, la tachicardia, il sudore, il senso di vertigine, disturbi psicosomatici che gli avevano impedito di iniziare la conferenza da lui stesso sollecitata.
Un uomo che per anni aveva visto la sua esistenza sgretolarsi sotto il peso di un’accusa infamante, quel giorno sentiva, per la prima volta, la difficoltà di fare riaccendere la luce sulla sua storia, archiviata da una sentenza tenue ma devastante negli effetti. Ecco perché gli mancava il fiato per tirare fuori le sue parole.
Un anno dopo, qualcosa è cambiato
Un anno dopo, qualcosa è cambiato. Amici e colleghi, come Amedeo Laboccetta, gli hanno “imposto” di riprendere la sua battaglia, per se stesso e per altri come lui, e di raccontare la sua storia da innocente senza timore del giudizio. Oggi un libro lo aiuta a ricostruire la sua vicenda giudiziaria e il suo percorso politico anti-camorra e nel segno dell’onestà, marchio di fabbrica della destra di ieri e di oggi. Landolfi, martedì, non ha salito le scale, ma ha preso l’ascensore entrando nella sala, luogo in cui tanti altri hanno lottato contro il giustizialismo, da Marco Pannella ad Enzo Tortora, vestito di tutto punto, giacca scura, cravatta blu con dettaglio celeste che riprende il colore della camicia, testa alta e voce robusta. Poi ha raccontato, commentato e dissezionato la vicenda che lo ha visto coinvolto, macchiato delle peggiori accuse, per smascherare il sistema ancora una volta dalle sue contraddizioni.
La verità nero su bianco
Il dibattito comincia. Il giornalista e autore, Luca Maurelli, ricorda la genesi del testo. «Questo libro nasce un anno e due mesi fa. Mario, amico e collega, decide di raccontare la sua vicissitudine processuale, nonostante il timore che non interessasse a nessuno. La sua narrazione invece, è cruciale, perché il tema della giustizia è tornato al centro del dibattito, cpn lo scontro politica-magistratura originatop dalla riforma Nordio», aggiunge Maurelli, che a prescindere dall’amicizia personale si è impegnato nel libro solo dopo aver letto le carte ed essersi convinto dell’innocenza di Landolfi.
Il pregiudizio: colpevole per provenienza
C’è una verità che aleggia su tutta la vicenda: la giustizia non è bendata. E certe sentenze sembrano scritte ancora prima che il processo inizi. Mario Landolfi viene da una terra difficile. Il casertano, il sud, la Campania. Una regione complicata, dove tutto è già deciso prima che qualcuno si prenda la briga di verificare i fatti, per quel tanfo di camorra che pervade il territorio.
«Mario Landolfi è una persona perbene, immacolata. Ha scalato tutti i gradini della politica. Eppure, davanti a quei magistrati, è arrivato con un marchio addosso: quello del pregiudizio», spiega Amedeo Laboccetta, politico di lunga data ed esponente di spicco della destra campano, impegnato con la sua associazione, Polo Sud, in una battaglia in difesa del ministro Nordio e della sua riforma. «Mario era guardato con diffidenza. Come se il fatto stesso di venire da un certo mondo fosse già una prova contro di lui, poi dopo la condanna s’è chiuso in se stesso, aveva perso la voglia di lottare e fare politica. Oggi è qui con noi a battersi per migliorare la giustizia», aggiunge Laboccetta.
“Landolfi è un uomo perbene”
Marco Follini, che ha condiviso l’esperienza dei governi berlusconiani con Landolfi, ricorda quegli anni di attacchi frontali alla politica, a persone perbene «come Severino Citaristi, il tesoriere della Dc, da parte di giudici, come Di Pietro, che poi sono scesi in politica e che oggi si schierano a favore della separazione delle carriere, ma allora…». Oggi Follini non usa filtri nell’esprimersi. «Quando ti arriva addosso la tegola giudiziaria, se sei una persona perbene, è quasi impossibile difendersi, perché a differenza dei furbi dei corrotti, questo genere di uomini non sa mentire. Mario Landolfi ha rifiutato una prescrizione ed è arrivato alla fine di un processo che si basava solo su accuse infondate… La magistratura non può scrivere la storia di questo Paese, quella è affidata agli storici e ai politici che indicano la strada…», dice ancora Follini, entrando nel punto cruciale che ancora oggi anima il duello toghe-governo.
«C’è una guerra vera e propria che la magistratura ha generato contro la politica. E la politica deve tirare fuori gli attributi», è il monito di Laboccetta, che lancia un appello al Presidente della Repubblica: «Mi auguro che il Capo dello Stato fermi questa spirale».
Landolfi parla, il tempo si ferma
Quando Landolfi prende la parola, la sala si ferma. Non è un uomo che si difende. È un uomo che si fa ascoltare. Cita Barry Morris Goldwater :«L’estremismo nella difesa della libertà non è un vizio. La moderazione nella ricerca della verità non è una virtù».
E fa un attacco frontale contro chi ha trasformato la giustizia in uno strumento di distruzione. “Fino a prova contraria” è la parola magica che deve essere pronunciata in una democrazia.
La conclusione è affidata a un fine giurista, il professor Maiello, docente di Diritto Penale alla Federico II. Con la retorica del grande principe del Foro, difende la riforma Nordio dagli attacchi della magistratura – «la separazione delle carriere è conforme alla Costituzione e tutela il ruolo autonomo dei giudici più di quanto accada oggi» – poi demolisce, punto per punto, il processo Landolfi e tutti i “paradossi” procedurali, «Voi vi meravigliate, ma io cose così ne vedo tutti i giorni…». Poi la sintesi: «La condanna dell’ex ministro non è un errore giudiziario, perché c’è una sentenza definitiva agli atti. È solo un esempio di malagiustizia…».
Il link al video integrale della conferenza al Partito Radicale