Paolo Di Nella, 42 anni fa il delitto rimasto impunito. Rampelli: “Gli assassini strisciano nell’ombra”
“L’importante è non dimenticare. Per me due volte, visto che conoscevo personalmente Paolo Di Nella. Fare memoria di quel periodo così orribile, macchiato da troppi episodi di violenza, di tanti giovani che si dedicavano alla politica e invece hanno trovato la morte. Questo deve essere un monito perché non si ripeta mai più”. Parla con visibile commozione il presidente della Regione Lazio Francesco Rocca, a margine della deposizione di una corona di alloro per l’anniversario della morte di Paolo Di Nella. Il militante del Fronte della Gioventù morto il 9 febbraio 1983 dopo una settimana in coma in seguito a un’aggressione commessa da militanti dell’estrema sinistra.
“Per me il dialogo e il confronto – ha aggiunto Rocca – devono sempre prevalere e non deve mai più esserci violenza e violenza politica. Bisogna dare questo messaggio alle nuove generazioni. Ben venga spendersi per i propri ideali ma farlo sempre in maniera costruttiva. Non far venire meno i propri principi ma mai più violenza e morti per motivi politici”.
Rampelli: dopo oltre 40 anni gli assassini di Paolo strisciano nell’ombra
In un lungo e toccante post social, il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli ha ricordato l’anniversario della morte di Paolo Di Nella.
“Marco ha 22 anni ed è qui stanotte, in Piazza Gondar, insieme a lui Andrea che ne ha 24, Lucia che ne ha appena compiuti 18, Silvia, Massimo, Mattia, Francesco, Simone e tanti ragazzi che non erano nati il 9 febbraio del 1983, quarantadue anni fa. Quando Paolo muore.
Sette giorni prima, dopo aver preparato la campagna per l’esproprio di Villa Chigi e la sua restituzione alla comunità di quartiere, decide di andare ad affiggere, solo con Daniela, i manifesti scritti a mano con la solita cura, ma la notte diventa presto più buia di qualunque altra. Due vigliacchi rimasti impuniti gli si fanno sotto mentre la pennellessa passa la colla sul muro, Daniela è in auto, li vede, lo avvisa con un colpo di clacson ma gli assassini, da dietro, gli assestano il colpo alla tempia che gli frantuma il cranio. Paolo cade, si rialza, raggiunge Daniela, si fa accompagnare a una fontana, si sciacqua, sale a casa, si mette a letto, si rialza, va in bagno, si lamenta. I genitori, due angeli composti e amabili, lo sentono, Paolo sta perdendo conoscenza. Dopo poco è già al Policlinico Umberto I, a lottare tra la vita e la morte, va in coma, resiste qualche giorno mentre lo vegliamo e aspetta la visita del Presidente della Repubblica Sandro Pertini per volare oltre. E chiudere a doppia mandata la porta dello scontro tra destra e sinistra. Abbiamo pianto, inondato le vie del quartiere africano, da dove partì l’agguato, urlando a squarciagola così che lui sentisse e combattesse ancora, tra lingue di Menelik, bambini in maschera e piogge di coriandoli. Il carnevale si fa beffa del sonno eterno, il dolore e l’allegria si mescolano insieme in una danza surreale. Quanta energia nella disperazione.
Paolo non c’è più, uno dei migliori di quella generazione testarda e creativa destinata a rivoluzionare la destra italiana ci viene strappato con la solita violenza che ha già funestato gli anni ‘70 mietendo vittime innocenti da una parte e dall’altra. Come un tuono, che ti scoppia nel cuore e ti scaraventa sul muro, ogni certezza improvvisamente vacilla, qualche idiota agita lo spettro della vendetta, dice in giro di sapere chi sia l’assassino e vuole tornare indietro. Nessuno lo seguirà.
Camminiamo storditi tra i viali del Policlinico, troviamo Paolo in una stanza dalla luce rafferma e i soffitti alti, tra tante barelle affiancate, troviamo il suo corpo esangue, la testa rasata ha perso la sua chioma lunga e disordinata, un giglio bianco sul ventre scandisce il suo compleanno… Morire il giorno in cui sei nato: un segno che racconta il tuo destino.
Sul muro incriminato di quella piazza maledetta compare a caratteri cubitali questa scritta: «Chi muore combattendo non muore mai, vive nella lotta della sua gente». E così è stato. Ti abbiamo sempre portato con noi, ogni passo un’impronta, abbiamo rifiutato ogni scorciatoia per servirti la vittoria, l’impensabile governo dell’Italia e oggi sei tu il nostro capo delegazione nel Consiglio dei ministri.
Perché morire a vent’anni è ingiusto, devasta la psiche e dilania il cuore, ma come chi perde la vita in trincea merita la gloria eterna solo la vittoria avrebbe potuto dare un senso alla tua morte. E vittoria è stata.
Piove, questa notte è sempre fredda, qualunque sia la temperatura dell’aria, i ragazzi si mettono in cerchio per tre volte e cantano insieme, Paolo sembra lì, in fila con loro. Seconda stella a destra, questo è il cammino e poi dritti, fino al mattino… il tempo si è fermato a Piazza Gondar.
Dopo oltre quarant’anni gli assassini strisciano nell’ombra con i loro perfidi complici, mentre noi siamo qui e il nostro sorriso rischiara le tenebre. La morte ha perso la sua battaglia contro la vita.
Buon compleanno soldato Paolo”.