
Il libro
“The Gates of Gaza”: il coraggio e la lucidità di raccontare l’orrore del 7 ottobre 2023
Non è solo un libro. È una ferita aperta che sanguina verità. Un documento che tratta uno dei capitoli più bui della storia recente d’Israele
“The Gates of Gaza: a Story of Betrayal, Survival, and Hope in Israel’s Borderlands” (Scribe Publications) è la storia di chi è sopravvissuto. Un racconto appassionante e crudele. Pagine che vale la pena sfogliare per comprendere la tragedia del 7 ottobre 2023. Quel giorno una serie di attacchi di gruppi armati, provenienti dalla Striscia di Gaza, con conseguente uccisione di 1200 civili e militari, colpì lo Stato di Israele. Vennero rapite circa 250 persone. Un pogrom pianificato e operato da Hamas, con il supporto di altri gruppi terroristici palestinesi. Una miccia che ha fatto riacutizzare l’eterno scontro tra sionismo e antisemitismo.
C’è qualcosa di potente nel modo in cui Amir Tibon ci consegna la sua testimonianza. Non è solo un libro. È una ferita aperta che sanguina verità. Un documento che tratta uno dei capitoli più bui della storia recente d’Israele. Quel maledetto sabato mattina, mentre il sole si alzava su Nahal Oz, nessuno poteva immaginare l’inferno che stava per scatenarsi: 1200 morti, 250 ostaggi. Tutti innocenti. Numeri che nascondono storie, volti, vite spezzate. Il pogrom orchestrato dai terroristi di Hamas ha squarciato non solo il confine con Gaza, ma anche l’illusione di una sicurezza possibile.
La storia di Tibon è paradigmatica. Lui, giornalista navigato, si è trovato dall’altra parte della barricata: non più osservatore, ma protagonista di un incubo. Nel suo kibbutz progressista, a un tiro di schioppo da Gaza City, si è ritrovato chiuso in una safe room con moglie e figlie, contando i secondi, pregando che le bambine non piangessero, che Hamas non li sentisse. Un messaggio al padre, con la batteria del telefono agli sgoccioli: parole che sanno di testamento e di speranza. E poi i genitori, questi eroi ordinari, che da Tel Aviv si lanciano in una corsa contro il tempo, armati solo di una pistola e di quell’amore folle che spinge a sfidare la morte per salvare i propri figli. Una storia che potrebbe essere sceneggiata da Hollywood, se non fosse tragicamente vera.
Ma Tibon fa di più. Non si limita a raccontare il suo dramma personale. Intreccia la sua vicenda con la grande storia, quella dei due popoli condannati a vivere fianco a fianco, separati da un muro di odio e incomprensione. Ci parla dei suoi vicini del kibbutz, i soldati israeliani che hanno rischiato la vita per salvare la sua comunità, gli esperti che da anni studiano questo conflitto apparentemente senza fine.
“The Gates of Gaza” deluderà alcuni lettori. Non piacerà alla sinistra radicale antisionista e non è per coloro che pensano che la ferocia della risposta militare di Israele al terrorismo abbia annullato ogni diritto alla compassione per le vittime ebree. Né piacerà alla destra “turbo israeliana”, secondo cui ogni azione del Paese è configurata come una legittima e necessaria espressione di autodifesa, indipendentemente dal costo delle vite palestinesi.
È però un libro da tenere a mente, quando si parla di Medio Oriente. Non solo perché racconta l’orrore del 7 ottobre, ma perché lo fa mantenendo uno sguardo lucido sul complesso intreccio di cause e conseguenze che hanno portato a questa tragedia. Nel buio più profondo, Tibon riesce a intravedere uno spiraglio di speranza. In un’epoca in cui il conflitto israelo-palestinese viene troppo spesso ridotto a slogan sui social media, questo libro ci ricorda che la realtà è più complessa, più dolorosa, più umana. È un monito e insieme una preghiera. Dalle ceneri di tanto dolore, un giorno, dovrà nascere la pace.