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Von der Leyen si sveglia: il mondo non è più quello dei salotti dorati di Davos. Basta follie globaliste

Esteri - di Alice Carrazza - 4 Febbraio 2025 - AGGIORNATO 4 Febbraio 2025 alle 17:24

C’è un’aria di risveglio nei saloni globalisti della diplomazia europea. Ursula von der Leyen, dalla conferenza degli ambasciatori Ue a Bruxelles, sembra aver fatto finalmente i conti con la realtà, la stessa che i cittadini e chiunque osservi il mondo lontano dai convegni di Davos conosce da tempo: l’iperglobalizzazione non è più il dogma intoccabile. «La visione di un mondo che tende verso una sempre maggiore cooperazione è diventata obsoleta», dichiara, con un candore quasi sorprendente per chi, come lei, ha fatto del globalismo la propria bussola politica e che ancora abita quegli ambienti essendo membro del Board of Trustees del World Economic Forum di Davos.

Von der Leyen: “Sono tornate le grandi paure”

Ma non è solo una questione di percezione. «Sono tornate le grandi paure», prosegue con fermezza von der Leyen, elencando i nuovi spauracchi del ventunesimo secolo: cambiamento climatico, intelligenza artificiale, migrazione, insicurezza economica. In altre parole, la politica non è più questione di sole regole, ma di forze brutali, di interessi nazionali contrapposti, di una «geopolitica ipercompetitiva e ipertransazionale». Una scoperta che i cinesi e i russi, evidentemente, avevano già fatto da tempo.

“Non possiamo dare più nulla per scontato”

Dopo settant’anni di norme e consuetudini, l’ordine mondiale sembra sgretolarsi sotto il peso delle sue stesse contraddizioni. «Non possiamo più dare nulla per scontato», il monito di Ursula. «Le grandi potenze cercano di ottenere ogni possibile vantaggio, utilizzando qualunque strumento», da quello economico a quello tecnologico, passando per quello militare. «A volte tutti e tre contemporaneamente», aggiunge la presidente della Commissione.

C’è un sottotesto che non sfugge: l’Europa si trova in mezzo della corrente, ma senza il remo saldo tra le mani. «Le potenze emergenti sono rimaste deluse dal sistema internazionale», spiega poi, lasciando intendere che chi prima obbediva alle vecchie norme ora cerca altrove la sua strada. «Lavoreranno con chiunque metta sul tavolo l’offerta migliore». Piaccia o meno, il mondo sta tornando a ragionare per “sfere d’influenza”, in un revival di logiche ottocentesche che cozzano con il fragile idealismo su cui si regge l’architettura dell’Ue.

Von der Leyen: “Pronti ai negoziati duri con gli Usa”

Non è solo con le autocrazie che Bruxelles dovrà misurarsi. Anche con i vecchi alleati, i tempi delle pacche sulle spalle sono finiti. «Potremmo doverci impegnare in negoziati duri, anche con partner di lunga data», avverte von der Leyen, ammettendo implicitamente che, con il ritorno possibile di Donald Trump alla Casa Bianca, l’asse atlantico potrebbe diventare un campo di battaglia commerciale.

«Siamo pronti per negoziati difficili, laddove necessario», assicura la presidente tedesca, cercando di dissimulare l’evidente preoccupazione che serpeggia tra le cancellerie europee. Con gli Stati Uniti di Trump, l’Europa dovrà dimostrare di saper difendere i propri interessi, non solo a parole e regolamenti. E se Washington dovesse chiudere i rubinetti della protezione strategica, Bruxelles sarà davvero pronta a camminare con le proprie gambe?

La guerra in Ucraina e la partita degli asset russi

Nel quadro globale sempre più caotico, l’Ucraina resta la partita chiave. «In gioco c’è il destino dell’Europa», dichiara von der Leyen, ribadendo che il conflitto con Mosca non è solo una questione del Paese dell’est, ma la prova del fuoco per il futuro dell’ordine europeo.

Per finanziare Kiev, l’Ue sta studiando «usi creativi» degli asset congelati della Russia. Una formula diplomatica per dire che si cercherà di usare il denaro russo per sostenere la resistenza ucraina. Ma la questione resta spinosa: fino a che punto il diritto internazionale consentirà un’operazione di questo tipo? E quali saranno le conseguenze a lungo termine per i mercati finanziari?

Il tramonto di Davos

In tutto questo, il World Economic Forum sembra aver definitivamente perso il suo primato di club d’élite. «Ero a Davos qualche settimana fa», termina von der Leyen, ammettendo che le discussioni in quei salotti dorati «non sono sempre un indicatore della vera direzione degli affari globali».

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di Alice Carrazza - 4 Febbraio 2025