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A che è servito l’8 marzo transfemminista? Non a sconfiggere il male, che non ha “genere”…

Il contrappunto

A che è servito l’8 marzo transfemminista? Non a sconfiggere il male, che non ha “genere”…

Quella transfemminista si è ormai affermata a pieno titolo come l’ideologia più sciocca e insensata, dannosa persino per chi la professa

Il commento - di Dalila Di Dio - 9 Marzo 2025 alle 07:00

Ieri, come ogni 8 marzo, si è celebrata la solita liturgia progressista: gente incapace di dare una definizione della parola donna si è impadronita della scena per rivendicare diritti, lanciare strali, minacciare ritorsioni contro chi la pensa diversamente e sancire cosa sia lecito dire e cosa no ma soprattutto chi abbia il diritto di parlare e chi, per esempio portatore di cromosoma y, debba stare zitto e a cuccia. Niente di nuovo sotto il sole, intendiamoci.

La trappola transfemminista

Quella transfemminista si è ormai affermata a pieno titolo come l’ideologia più sciocca e insensata, dannosa persino per chi la professa: donne che si battono per rivendicare il diritto di uomini – questo sono, a prescindere da cosa si autopercepiscano – di appropriarsi di spazi, prerogative, primati che sono e devono restare delle donne. Donne che si battono perché il corpo di altre donne possa essere usato come incubatrice per dare figli a due uomini, donne che professano l’aspirazione dell’embrione dall’utero – o, meglio ancora, la pillolina magica per espellerlo, in solitudine, nella toilette di casa – come unica risposta a una maternità imprevista. Donne che considerano la vita (quella altrui, ovviamente) un impiccio, perché, in fondo, un bimbo nel ventre materno è solo “un grumo di cellule” e guai a pensare che possa avere una propria dignità, un proprio diritto alla vita.

Odiare il maschio

Scene viste e riviste e chi si oppone è semplicemente fascista: la parolina magica che serve a demonizzare e toglie dall’impaccio di dover ragionare sulle cose, di doversi confrontare, di dover scendere a patti con la razionalità e la logica. Che poi, di cosa vuoi ragionare con qualcuno che non accetta che la donna altro non sia che una persona adulta nata coi cromosomi XX? Persino quelle di Arcilesbica diventano il nemico perché la pretesa di essere femministe difendendo le donne, la loro libertà, i loro diritti e la loro dignità rende fascistissime anche loro. Idiozia allo stato puro, insomma.
E allora, a cosa serve l’8 marzo transfemminista? Fondamentalmente a odiare il maschio, bianco ed eterosessuale. Mostrificato come portatore di un qualche gene maligno che lo rende potenziale assassino e stupratore represso, l’uomo – ma, ripetiamolo, solo se bianco ed eterosessuale – è il nemico e con lui è nemica ogni donna che anziché combatterlo decida di stringere con lui un’alleanza, in ossequio a quell’ancestrale attrazione tra poli opposti e complementari grazie alla quale l’umanità è arrivata fino a noi. Certo, a guardare certe scene, sovviene il sospetto che qualcosa sia andato storto ma tutto sommato ce la siamo cavata: le persone di buon senso sono molte di più, ma strillano molto meno perché, probabilmente, hanno qualcosa di meglio da fare che girare per strada seminude, insultando chicchessia con fare da scaricatore di porto, per sconfiggere il patriarcato.

Il patriarcato, la parolina magica: di che?

Eccola, l’altra parola magica: la parola che spiega ogni cosa, il patriarcato. Cosa sia esattamente non si sa, ma sappiamo che dobbiamo sconfiggerlo. Come? Rieducando i maschi. Perché? Perché ogni maschio ha in sé il germe del patriarcato, che non si sa cosa sia ma che va sconfitto. Quel maschio, però, è il padre, il fratello, il fidanzato, l’amico, il vicino di casa a cui ogni donna che abbia un rapporto sano con se stessa e con il prossimo sa di potersi rivolgere quando ha bisogno di aiuto e protezione. E sì, datevi pace, ogni donna ne ha bisogno esattamente quanto ogni uomo ha bisogno della cura, della dolcezza, dell’accoglienza di cui solo una donna è capace. E questa urgenza sventolata ai quattro venti di un “cambiamento culturale” con la pretesa di riprogrammare i maschi per estirpare da loro non si sa quale male innato è l’ennesimo strumento per distruggere definitivamente l’uomo e con lui la figura del padre, sotto attacco nell’ultimo decennio come mai prima d’ora. Perché il padre rappresenta la radice di ciascuno di noi, il padre è la Patria, il padre è Dio: tutte cose che al progressista medio fanno venire le bolle.

Il male non ha “genere”

La verità è che il male esiste ed è trasversale: è delle donne quanto degli uomini. Alcune persone sono cattive per natura, altre per reazione a una vita difficile, altre ancora perché hanno perso il senno e non hanno il controllo di sé: e la cultura di un’intera nazione – L’Italia dei femminicidi, titola Grazia con in copertina Elena Cecchettin – non ha nulla a che vedere con un uomo che uccide una donna. Si tratta di un singolo che commette il più odioso dei crimini e per questo va perseguito e punito. L’unica cosa sensata che possiamo fare è imparare a riconoscere il male quando ci si para davanti, fosse anche con il sorriso smagliante e la voce melliflua del più affascinante degli uomini: riconoscere il male e allontanarlo da sé con decisione, imparando a farsi aiutare se necessario. Anche da un uomo. Tutto il resto è fuffa che sia autoalimenta per dare al femminismo una ragione di esistere quando una ragione, ormai, non ce l’ha più.

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di Dalila Di Dio - 9 Marzo 2025