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La certificazione rossa
Al comune di Lodi la sinistra si inventa il nuovo lasciapassare ideologico: il “patentino antifascista”
Il nuovo provvedimento della giunta di sinistra del comune lodigiano obbliga chiunque voglia parlare in uno spazio pubblico a firmare il pass antifascista. L'ira di Giuseppe Cruciani: "io non firmerò mai un ca**o"
C’era una volta il diritto di parola, il diritto di associazione, il principio, almeno formale, che gli spazi pubblici fossero accessibili a tutti, senza bollini di conformità dottrinale. Poi arrivò Lodi. Ormai, la giunta di centro-sinistra ha deciso che chiunque voglia organizzare un evento nelle sale comunali dovrà prima presentare una dichiarazione di antifascismo. Un pass ideologico che ricorda certe pratiche da polizia del pensiero che fa sorgere domande spontanee: chi ne verifica la sincerità? E se qualcuno mente? Si mobilitano gli 007 di La7? Si scava negli archivi di famiglia alla ricerca di vecchie foto con nonno in divisa? E se il “peccato” risale a decenni fa, vale ancora o è prescrivibile?
I nemici immaginari della sinistra
Il provvedimento ha il sapore di una burocrazia kafkiana e di uno zelo da regime in cerca di nemici immaginari. Ma soprattutto, mette in scena una paradossale follia: combattere un’ideologia che non esiste più se non come macchietta da teatrino, con metodi degni di quell’ideologia stessa. Perché obbligare un cittadino a un atto di fede politica non è altro che un’imposizione autoritaria, il contrario di ciò che dovrebbe significare libertà. «Assurda, inconcepibile, inutile e fascista», la definisce infatti Lorenzo Maggi presidente di Lodi Liberale e capogruppo della lista civica Il Broletto con Maggi.
Anche Giuseppe Cruciani, conduttore della trasmissione radio La Zanzara è intervenuto sulla vicenda, definendo la delibera «un provvedimento anti-democratico» e «una totale perdita di tempo per il Comune, che dovrebbe occuparsi di questioni ben più serie». Poi ha rincarato la dose: «Nei prossimi giorni sarò a Lodi per presentare il mio libro. Rispetto la giunta, ma io non firmerò mai un ca**o!».
Da Sanremo a Lodi: il “patentino antifascista” come pre-requisito
Non è la prima volta che in Italia qualcuno si spinge in questa direzione. Giusto poche settimane fa, il cantante Simone Cristicchi, secondo certa stampa, non poteva vincere il Festival di Sanremo perché non aveva esibito il “patentino antifascista“. Non bastava cantare, emozionare, convincere il pubblico e la giuria: serviva la patente politica. Una dichiarazione pubblica di allineamento ai canoni dei soliti moralisti finto-progressisti.
A Lodi però, il concetto è stato formalizzato: se vuoi parlare, se vuoi un microfono, devi prima inginocchiarti all’altare della dichiarazione di purezza. Non importa se il fascismo, inteso come fenomeno storico-politico, sia sepolto sotto un secolo di polvere. Quel che conta è tenere in piedi il rituale, la caccia all’eretico, la simulazione perenne di una resistenza contro un nemico che esiste solo come comodo spauracchio.
I moralisti del pensiero unico
Questa smania di stanare fascisti sotto ogni pietra, di esigere abiure preventive, di trasformare il discorso pubblico in un tribunale inquisitorio è, a ben vedere, una versione aggiornata della superstizione medievale. Si cerca di esorcizzare il fantasma, creando procedure assurde, certificati di idoneità ideologica, liste di proscrizione al contrario.