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Europa cristiana Camaldoli Ventotene

Il mito rosso va in frantumi

Altro che Ventotene: fu il Codice di Camaldoli a gettare le basi per un’Europa libera, cristiana e democratica

Altro che dittatura del partito rivoluzionario: l’Europa libera nasce dalle basi poste dai cattolici, non dal Manifesto che teorizzava l’abolizione della proprietà privata

L'Intervento - di Antonio Tisci - 25 Marzo 2025 alle 11:35

Da quando Giorgia Meloni ha letto in aula alcune frasi del Manifesto di Ventotene che ipotizzavano l’abolizione della proprietà privata e la dittatura come strumento di governo, la parola d’ordine della sinistra è stata: “contestualizzare”. Insomma, secondo i progressisti, per capire come fosse possibile che alcuni loro riferimenti mitici avessero inneggiato all’autocrazia, è necessario collocarsi in quel tempo.

1941: Ventotene e l’utopia rivoluzionaria

Il Manifesto di Ventotene è del 1941. In quegli anni, Spinelli e Rossi non erano gli unici a interrogarsi sull’Europa che sarebbe nata dalle ceneri della Seconda guerra mondiale. Un paio d’anni più tardi, precisamente nel luglio del 1943, nell’eremo dei Camaldoli si riunirono alcuni intellettuali ed esponenti politici cattolici.

Tra i presenti c’erano Giulio Andreotti, Aldo Moro, Giorgio La Pira, Paolo Emilio Taviani, Ezio Vanoni e molte altre personalità che saranno protagoniste della politica italiana ed europea del secondo Novecento.

Camaldoli: la visione democratica e cristiana

Negli stessi anni in cui a Ventotene si teorizzava la dittatura del partito rivoluzionario, a Camaldoli si scriveva che «la sovranità statale non è illimitata; i suoi confini sono segnati dalla sua ragione di essere, che è la promozione del bene comune. Oltre quei limiti, i suoi atti sono illegittimi e perciò privi di forza obbligatoria in ordine ai sudditi», mettendo così un chiaro limite al potere dello Stato e legittimando il diritto alla disobbedienza verso qualsiasi forma di totalitarismo. Specificando, altresì, che «qualora lo Stato emani una legge ingiusta, i sudditi non sono tenuti a obbedire. Se l’oggetto della legge è immorale, cioè lede la dignità umana o è in aperto conflitto con la legge di Dio, ciascuno è obbligato in coscienza a non obbedire», richiamando così la tradizionale questione del limite del precetto normativo già indicata nell’Antigone.

E se a Ventotene si immaginava la possibilità della dittatura del partito rivoluzionario, a Camaldoli si scriveva chiaramente che «è di primissima importanza, per il raggiungimento stesso del bene comune, che le decisioni prese abbiano la maggiore consapevolezza e quindi consenso dei cittadini. Ciò distingue i cittadini dai sudditi. È quindi giustificata l’esigenza di libertà e di organi rappresentativi di una pubblica opinione, i quali giungano anche a inserirsi nella struttura costituzionale dello Stato», parlando chiaramente di democrazia rappresentativa.

Il nodo della proprietà privata

Nello stesso contesto in cui a Ventotene si teorizzava l’abolizione della proprietà privata, nell’eremo dei Camaldoli si scriveva che «la proprietà privata è un mezzo di cui l’uomo dispone per portare a compimento la sua missione su questa terra. La persona non può svolgere la sua missione senza il concorso delle diverse comunità che la circondano e l’aiutano a realizzare il suo destino personale (famiglia, comunità professionale, ecc.).

Inoltre, rimane primaria, rispetto al diritto di proprietà, la destinazione dei beni materiali della terra all’uso comune. Ne deriva quindi una duplice funzione della proprietà: personale e sociale. Personale, in quanto a fondamento di essa sta il potenziamento della persona; sociale, in quanto tale potenziamento non è concepibile al di fuori della società, senza il concorso della società, e in quanto è primaria la destinazione dei beni materiali a vantaggio di tutti gli uomini», ribadendo, altresì, che «la proprietà dei beni capitali, per la sua delicata funzione sociale, non può essere sempre usata secondo il solo giudizio del proprietario, ma in armonia con le esigenze di un sistema economico tendente al bene comune, fissato da chiare norme giuridiche».

Due modelli per l’Europa del dopoguerra

Perché è importante parlare del Codice di Camaldoli e metterlo a confronto con il Manifesto di Ventotene? Perché, da un lato, demolisce l’idea secondo la quale, in quel contesto storico-politico, fosse normale pensare alla soppressione della democrazia e della proprietà privata; dall’altro chiarisce che esistevano due visioni contrapposte su come ricostruire l’Europa dopo le macerie della Seconda guerra mondiale.

Da una parte c’era chi immaginava la dittatura del partito Rivoluzionario; dall’altra, chi parlava di democrazia, di limiti al potere dello Stato e di una comunità internazionale rivolta al bene comune.

La visione plastica di quella differenza è nella Cortina di Ferro che divise le nazioni democratiche da quelle comuniste, ma anche nella contrapposizione politico-elettorale all’interno del mondo occidentale, tra chi difendeva la democrazia e chi, come il partito Comunista italiano, sognava la dittatura del proletariato e la costruzione dei Soviet.

Le radici cristiane dell’Unione europea

Il progetto di Unione europea è stato voluto dai democristiani. I padri dell’Europa sono tre uomini di formazione cattolica: De Gasperi, Schuman e Adenauer, che immaginarono una federazione totalmente diversa dal grande Leviatano teorizzato da chi voleva la dittatura del proletariato e l’abolizione della proprietà privata. Non è un caso che il Pci votò contro la nascita del Mercato  europeo comune e contro ogni ipotesi europeista.

Per quasi tutta la storia repubblicana, però, i cattolici impegnati in politica hanno lasciato che la comunicazione favorisse la narrazione secondo cui siano stati i valori del Manifesto di Ventotene, e non quelli del Codice di Camaldoli, a rappresentare i pilastri valoriali della nascente Europa.

Una nuova consapevolezza storica

È questo il prodotto di una sudditanza psicologica e culturale che finalmente viene demolita dal presidente del Consiglio. Un’azione per la quale dovrebbero essere grati tutti quelli che non hanno mai sognato un’Europa socialista e totalitaria, ma che, al di là di ogni filosofia e costruzione culturale, serve anche a far scendere con i piedi per terra alcuni esponenti della sinistra italiana e mondiale. Qualcosa del Manifesto di Ventotene, infatti, nella cultura della sinistra è rimasta. È sopravvissuta quell’idea piuttosto bizzarra secondo la quale, quando il popolo non pensa e non vota come vogliono loro, è il popolo a sbagliare.

Con le dichiarazioni di Giorgia Meloni cade il muro di Berlino anche in Italia. La storia ci insegna che non era necessario immaginare la dittatura del partito rivoluzionario come alternativa al nazismo, che anche in quel momento storico c’era chi immaginava la nascita di una democrazia rispettosa dei diritti della persona e che, per nostra fortuna, da questa parte della Cortina di Ferro, coloro che volevano la dittatura del partito Rivoluzionario sono stati sconfitti dalla storia. Riscoprire il Codice di Camaldoli come fondamento della nostra storia recente e come paradigma di valori da utilizzare per il futuro può essere la base per costruire un’Europa capace di integrare le identità senza cancellarle.

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