
Repressione a Teheran
L’Iran sta usando droni, app e telecamere per individuare le donne che non portano il velo
Il controllo sociale nell’Iran degli ayatollah ha compiuto un nuovo, inquietante balzo in avanti. Droni che sorvolano le strade, telecamere con riconoscimento facciale installate nelle università, cittadini trasformati in spie digital grazie a un’app governativa. Non è un film, ma la cruda realtà descritta in un rapporto delle Nazioni Unite, pubblicato venerdì, che accusa Teheran di utilizzare la tecnologia per reprimere le donne che sfidano l’obbligo del velo.
Nazer, l’app del terrore per incastrare le donne senza hijab
Al centro di questa strategia c’è Nazer, un’applicazione che permette di segnalare anonimamente chiunque sia sorpreso senza hijab in un veicolo, e tutto direttamente dal proprio smartphone. Bastano pochi clic per inviare alle autorità il numero di targa, il luogo e l’orario esatto della presunta violazione. Il sistema si attiva immediatamente: il proprietario del mezzo riceve un messaggio di avviso e, in caso di recidiva, l’auto viene addirittura sequestrata. Le segnalazioni, si legge nel documento Onu, sono raccolte tramite la piattaforma online della polizia iraniana (Faraja), che nell’autunno del 2024 ha ampliato la portata del controllo anche a taxi, ambulanze e mezzi pubblici.
Droni sui cieli di Teheran: l’ultima trovata del regime
Ma non basta. Il rapporto denuncia anche l’impiego di droni per sorvegliare le città, con particolare attenzione alla capitale e alle province meridionali, come il Khuzestan e il Sistan-Baluchistan, aree già teatro di violente repressioni. Durante il massacro di Zahedan — noto ormai come “Venerdì di sangue” — nel settembre 2022, furono decine i manifestanti freddati dalle forze di sicurezza. Ora, occhi elettronici fluttuano sopra le teste, scrutando ogni movimento, catturando immagini e segnalando in tempo reale ogni possibile trasgressione. E se i droni presidiano i cieli, le telecamere di riconoscimento facciale controllano la terra: all’Università Amirkabir di Teheran, ad esempio, è stato installato un software che verifica l’abbigliamento delle studentesse all’ingresso, impedendo l’accesso a chiunque non rispetti il codice di abbigliamento imposto dal regime.
Multe, carcere e pena di morte in Iran
La sorveglianza tecnologica si inserisce in un quadro più ampio di controllo capillare sulla popolazione femminile, reso ancora più stringente dal disegno di legge «Hijab e castità». Sebbene sospeso alla fine dello scorso anno, il provvedimento – se approvato – introdurrebbe pene draconiane: multe fino a 12.000 dollari, fino a dieci anni di carcere e, in base all’Articolo 286 del Codice penale islamico, persino la pena di morte per chi venga accusato di «corruzione sulla terra».
Per l’Onu parliamo di crimini contro l’umanità
Le accuse delle Nazioni unite, dunque, vanno ben oltre il solo tema del velo. Gli investigatori, impegnati in una missione di accertamento durata ben due anni, parlano esplicitamente di violazioni sistematiche dei diritti umani e di crimini contro l’umanità nel silenziare il dissenso ad ogni costo, con un focus particolare sulle giovani donne. Un’accusa pesante, che si salda con le denunce internazionali già mosse dopo la morte di Mahsa Amini. L’uccisione della ventiduenne curda sotto custodia della polizia morale tre anni fa scatenò proteste di massa, represse con una brutalità che ancora lascia vivido il ricordo delle centinaia di vittime.
Dall’Iran nessun commento
Eppure non sorprende, la strategia di Teheran non è nuova: il regime ha sempre cercato di trasformare il controllo del corpo femminile in un pilastro della propria autorità. Ma l’uso sempre più raffinato e accorto della tecnologia segna un passaggio cruciale. Non è più solo la polizia morale a pattugliare le strade, ma una rete di strumenti digitali, droni e cittadini-sentinella che trasformano il Paese in un panopticon islamico. La Cnn, dopo aver ripreso la notizia, ha provato anche a contattare l’ambasciata iraniana a Londra per un commento. La risposta? Il silenzio.