
Amarcord
Fra i banchi di scuola: i libri che hanno fatto e formato generazioni di italiani
Il motto di Massimo d’Azeglio che fatta l’Italia imponeva di fare gli italiani trovava il viatico principale solamente nelle scuole sparse per tutta la penisola: un volume celebre quest'epopea
La margherita «Latino sì, Latino no» è stata lanciata nel cielo della scuola dal ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara. Ma quest’oggi non ci interessa entrare nell’arena delle polemiche – dello scontro tanto annoso quanto specioso materie scientifiche versus letterarie -, ci interessa il viaggio attraverso i libri di testo che hanno fatto la storia della nostra Nazione. “È tutta Italia la Patria mia”. Libri scolastici e altre testimonianze di scuola (1860-1960), (352 pp.; 28,00€), edito da Ronzani Editore e redatto da Rossella Coarelli, laureata in Pedagogia e già bibliotecaria direttrice nonché coordinatrice presso la biblioteca Braidense a Milano. Il volume attraversa i primi cent’anni dell’Italia unita in uno squarcio che unisce Garibaldi, Gentile, Mussolini, la resistenza e la liberazione. La premessa, doverosa, è che seppur i volumi scolastici sono tra i più diffusi c’è spesso una vera e propria assenza di libri capace di produrre “una testimonianza storica per lo studio della formazione di un popolo”. Testi, ripetutamente, considerati di risulta e degradati a produzioni di scarto. Svenduti una volta ultimati gli studi se non sacrificati nella pira di fine studi.
La radiografia “scolastica” della Nazione
L’autrice, confidandosi con il lettore, racconta di come “in veste di bibliotecaria” durante la sua carriera si è occupata di realizzare un vero e proprio salvataggio di testi scolastici prodotti durante l’epopea fascista e gli anni sessanta. Materiale spesso considerato “minore” e per questo motivo rimasto “a lungo nelle cantina della Biblioteca nazionale Braidense”. Un lavoro certosino, durato decenni, fatto di perlustrazioni di cantine, abitazioni, mercatini del libro usato – in particolare nei paesi liguri o nelle bancarelle a Roma e a Milano – il tutto mischiato ai ricordi cartacei di come l’Italia è stata tra La Domenica del Corriere e foto sbiadite. Il lavoro dell’opera ruota attorno, principalmente, a testi scolastici delle elementari e medie (in qualche caso anche delle superiori). La formazione dei nostri avi, dei nostri nonni e dei nostri genitori radiografata. Bisognava, all’indomani dell’Unità nazionale, farla innanzitutto questa Nazione e cosa meglio della scuola? Chi meglio del bambino come architrave di questo lavoro? Il volume prende il via proprio da un componimento poetico, intitolato Il fanciullo italiano, che muove i suoi passi in un’unica direzione: “Dimmi fanciullo sei tu Toscano? No, buon signore, sono Italiano”. Retorico? Certamente. Efficace? Sicuramente.
Eccolo il finale del XIX secolo in tutto il suo potenziale. “I libri di testo sono uno strumento fondamentale per testimoniare come, nel processo di laicizzazione e nazionalizzazione che contrassegnò il ‘lungo Ottocento’, la scuola andò a sostituire la Chiesa nel percorso di interiorizzazione del concetto di patria, con una pedagogia caratterizzata sia dall’educazione, sia dalla subordinazione”. Il motto di Massimo d’Azeglio che fatta l’Italia imponeva di fare gli italiani trovava il viatico principale solamente nelle scuole sparse per tutta la penisola. Inoltre la missione, quasi messianica, primaria fu quella di alfabetizzare le masse, in un’impresa che potremmo definire di socializzazione del sapere. Ma chi furono i pionieri del libro di testo scolastico? La Coarelli ci accompagna tra Carlo Pozzi, direttore de L’Unione, Giuseppe Borgogno, direttore de L’Osservatore scolastico, Giovanni Parato, direttore de La guida del maestro elementare italiano e Guido Fabiani, direttore de Il Corriere delle maestre. Nomini sconosciuti, tenutari di un impegno che ha fatto rima con l’avvicinamento alla dottrina per milioni e milioni di nostri connazionali.
Il ruolo delle maestre
Le maestre invece? Tale Pastorino nel 1911 scriveva: “Tutti i cittadini, dunque, che amano i propri figli e la patria dovrebbero impedire allo Stato la continuazione di questa opera perniciosa: quella di affidare a donne le scuole maschili e di ottenere così, proprio in questo tempo di lotta, una generazione di maschi plasmata sul tipo femminile”. Una vera e propria diatriba quella sull’insegnamento muliebre, in questo caso in piena guerra di Libia, ma che già nel 1913 sul giornale L’Italia ci permetteva di leggere: “Le prime classi elementari costituiscono l’anello di congiunzione tra la famiglia e la scuola ed è quindi necessario che l’opera della madre venga sostituita, corretta, integrata, da quella di un’altra donna, d’ordinario più intelligente e più colta, ma ugualmente disposta alla dedizione e al sacrificio”. Poi? L’avvento del Fascismo il 28 ottobre 1922 e l’introduzione del Libro unico. Una rincorsa per il superamento dei dialetti e contrasto forte all’analfabetismo. Il capitolo sull’avvento di Benito Mussolini si apre con il tema di un alunno di terza elementare (sezione C) della scuola all’aperto Umberto di Savoia (ex Trotter) in Milano, anno 1932: “Un giorno un uomo serio si presentò al Re chiedendogli se gli lasciava fare a lui, che metteva tutto a posto”. Joe Wright non approva. Il Fascismo, che intuì immediatamente il potere del materiale scolastico, con la legge n. 5 del 7 gennaio 1929 introduceva il Libro unico di Stato e una produzione controllata, quasi interamente, dalla Mondadori. Poi il 25 aprile 1945 e l’opera di de-fascistizzazione, anche, dei testi pedagogici. Basti pensare all’allora Ministro della Pubblica Istruzione Aldo Moro il quale, il 13 giugno 1958, introduceva lo studio della Costituzione nella didattica di ogni ordine e grado di scuola. Cento anni. La campanella suona e una nuova nidiata di studenti è pronta sedersi sui banchi della storia con i suoi libri di testo.