
L'intervista
Giorgianni: “La svolta del delitto di Garlasco lo conferma, la riforma della magistratura va pretesa”
Letizia Giorgianni, deputato senese di Fratelli d’Italia, già presidente dell’Associazione salva banche, ha commentato la notizia sulla svolta del delitto di Garlasco sulla base dei suoi trascorsi da giornalista d’inchiesta, scrivendo un post sui social nel quale evidenzia un comune denominatore tra due fatti di cronaca. Al Secolo d’Italia ha scelto di articolare ulteriormente il suo ragionamento.
Onorevole Giorgianni, qual è il filo rosso che unisce la riapertura dei casi di Liliana Resinovich e del delitto di Garlasco?
«Il filo rosso è la crisi silenziosa della qualità investigativa. In entrambi i casi – come purtroppo in molti altri – stanno emergendo elementi che mettono in discussione le ricostruzioni iniziali, frutto spesso di indagini frettolose o condotte con superficialità. Non è accettabile che solo dopo anni si scoprano piste mai approfondite, tracce ignorate, ipotesi alternative non esplorate. Il vero tema è culturale: la giustizia non può permettersi l’approssimazione. Serve rigore fin dall’inizio, perché la verità giudiziaria si costruisce prima del processo, nell’attività d’indagine».
Confermano che la riforma della magistratura è non solo necessaria ma anche urgente?
«Assolutamente sì. Se c’è una lezione da trarre da questi casi è che il sistema attuale non garantisce più un accertamento solido e imparziale della verità. Per questo la riforma non è solo opportuna: è urgente. E non parliamo solo di norme, ma di una rivoluzione culturale. Il pubblico ministero non può essere il terminale passivo della polizia giudiziaria, né il burocrate che archivia per inerzia. Deve tornare a essere un protagonista competente, scrupoloso, autonomo e soprattutto responsabile della qualità delle indagini».
Lei sostiene che la riforma della giustizia non va temuta, ma anzi pretesa. Perché?
«Perché una giustizia che arriva tardi o sbaglia bersaglio è una giustizia che ferisce due volte: chi è innocente e chi aspetta verità. Troppo spesso vediamo processi che si aprono su basi fragili o che si chiudono dopo anni con l’amara consapevolezza che qualcosa, all’inizio, è stato trascurato. Ecco perché la riforma va pretesa: serve più competenza, più responsabilità, più attenzione alla fase investigativa, che è il cuore del processo penale. La vera garanzia per i cittadini non è lo status quo, ma una giustizia che funziona, che cerca davvero la verità e non si accontenta di versioni comode o di scorciatoie procedurali».
L’ANM teme che con la separazione delle carriere il pubblico ministero diventi troppo investigativo. Che ne pensa?
«Francamente, mi sembra un falso problema. Il vero rischio, come dimostrano i fatti, non è il PM troppo investigativo, ma quello troppo passivo. Il PM deve guidare le indagini, non limitarsi a validare l’operato della polizia. Se “troppo investigativo” significa più attento, più rigoroso, più presente, allora ben venga! La separazione delle carriere serve proprio a chiarire i ruoli e a rafforzare la terzietà del giudice, senza depotenziare il PM. Anzi, un PM più autorevole e più competente è una garanzia per tutti, non una minaccia».
Onorevole Giorgianni, detto della svolta del delitto di Garlasco, c’è un altro caso di cronaca che lei conosce benissimo e che attende giustizia, la morte del responsabile della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena, David Rossi…
«Il caso David Rossi rappresenta un altro esempio di ciò che non dovrebbe mai accadere in un sistema giudiziario maturo: l’assenza di indagini vere. Al di là di ogni interpretazione sull’esito finale – su cui ognuno può farsi un’opinione – resta un fatto oggettivo: non è stato fatto nulla per arrivare a una verità accertata con rigore. Si è archiviato in fretta, si è dato per scontato ciò che andava dimostrato, e si è lasciato un vuoto investigativo che poi ha alimentato dubbi, sospetti, persino teorie complottistiche.
Ecco perché insisto: la vera emergenza è la qualità delle indagini, non la loro quantità. Anche quando la verità è semplice o plausibile, lo Stato ha il dovere di dimostrarla in modo inattaccabile. Non si può chiedere fiducia nei confronti della giustizia se la giustizia stessa non si prende la responsabilità di cercare, di verificare, di approfondire».