
Promemoria storico
Gli europeisti di Ventotene hanno la memoria corta: Pci e Psi non votarono i Trattati di Roma
Il “mimetismo” è un’arma classica della vecchia e nuova sinistra. Negare l’evidenza (storica e non solo) una prassi consolidata. Le recenti polemiche sull’Europa e sul “Manifesto di Ventotene” lo confermano, laddove le reazioni, gridate – da sinistra – a squarciagola nelle aule parlamentari, riportano in primo piano la “memoria corta” degli eredi della gloriosa ed immacolata storia del Pci (Partito Comunista Italiano) anche in rapporto ai processi d’integrazione europea.
Sul tema la sinistra italiana, pronta ad ergersi a maestra dell’Unione continentale, ha, nel proprio dna, più di qualche macchia, malamente mimetizzata.
Anche qui a parlare sono i fatti, nelle dichiarazioni dei vertici del Pci in occasione della ratifica (luglio 1957) dei trattati istitutivi della Cee e dell’Euratom, i primi, concreti passi, del processo d’integrazione europea.
All’epoca la sinistra non sembrò avere tentennamenti, schierandosi contro l’approvazione dei trattati, manifestando così – con estrema coerenza ideologica – la sua critica all’Europa nascente, in questo trovandosi d’accordo con tutti i partiti comunisti fratelli, a cominciare, in Francia, dal Pcf.
“Non ha senso dire che il Mec è una cosa e il capitale monopolistico un’altra: il Mec è la forma sovrannazionale che assume nell’Europa occidentale il capitale monopolistico” – ebbe a dichiarare senza mezzi termini Giuseppe Berti, relatore della mozione del gruppo comunista alla Camera. con cui si chiedeva di non ratificare il trattato. Concludendo: “Ci si dice che in questa battaglia noi siamo isolati. Ma noi siamo in larga e qualificata compagnia: i lavoratori italiani, i piccoli e medi produttori economici, hanno già compreso quali gravi danni apporterà il Mec a loro e al paese. Noi non cesseremo la nostra lotta alla testa del popolo italiano”.
Ventotene, dietro il manifesto tante dimenticanze
A seguire le altre dichiarazioni dei massimi esponenti del partito.
“Perché dovremmo sentire la suggestione di questi ideali così detti europeistici, perché dovremmo sentire la suggestione di questa difesa della civiltà occidentale? Per quel che ci riguarda noi questa suggestione non la sentiamo”, dichiarerà Giancarlo Pajetta alla Camera, parlando di un’Europa che “non è autonoma, non è indipendente, né politicamente né economicamente, perché questa Europa è l’Europa della Nato”. E ancora: “Questa Europa è diretta dagli Stati Uniti, i quali la orientano in una determinata direzione, contro l’Unione sovietica”.
A conclusione del dibattito parlamentare l’intervento di Pietro Ingrao: “Questa operazione apre la via al rafforzamento del predominio dei grandi gruppi monopolistici internazionali ed interni (..). Si tratta di forze che sono state riconosciute come nemiche della democrazia italiana, e non solo da noi, che sono state individuate come la causa dell’arretratezza del nostro paese (…) Votiamo contro questi trattati per il posto che da essi vien fatto al grande capitale tedesco, al riarmo e al ritorno del militarismo”.
Negli stessi giorni del dibattito parlamentare “L’Unità”, organo del Pci dava la linea, spiegando (28 luglio 1957) alla maniera comunista che cosa era veramente il Mec e che cosa comportava: il rischio di vedere l’economia italiana privata della sua mano d’opera migliore, attraverso l’immigrazione degli operai specializzati; la “fuga” dei capitali grazie alla “libera circolazione” e quindi alla possibilità di realizzare maggiori profitti; l’aumento di una più aspra concorrenza a causa dell’eliminazione delle tariffe doganali; con il risultato di favorire “intese sempre più strette tra i vari monopoli per la spartizione del mercato a scapito dei piccoli e medi produttori sostituendo così alla protezione doganale una spartizione delle sfere di influenza tra i grandi monopoli”.
Quello che la sinistra non vuole raccontare sull’Europa
Alla fine i trattati di Roma furono approvati a maggioranza, anche con il voto favorevole del Msi (“Diamo la nostra leale adesione e il nostro voto a questi trattati, confidando che essi possano in realtà produrre un incremento di civiltà in Italia e in tutta Europa”, disse Augusto De Marsanich in sede in sede di dibattito parlamentare) e con l’astensione del Partito Socialista Italiano.
Diverso, in quel contesto, l’atteggiamento della Cgil, che si schierò per un sì generico al Mercato Comune preoccupata di salvare, dopo i fatti del 1956 (con l’invasione sovietica dell’Ungheria) l’unità sindacale messa in discussione dalla componente socialista. Il sì della Cgil fu un esercizio di equilibrismo politico: “Nonostante gli inconvenienti di natura transitoria, (…) il Comitato Esecutivo ritiene che essa vada appoggiata e incoraggiata, perché può recare – in prospettiva – un contributo fondamentale e – in una certa misura – insostituibile allo sviluppo generale delle economie europee e al miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori”.
Ci vollero decenni perché il Pci arrivasse ad abiurare la propria scelta antieuropeista. L’Unione Sovietica era agli sgoccioli. Era l’”Eurocomunismo” a dare la linea e gli attacchi al “capitale monopolistico” andavano silenziati. Così come il ricordo di una stagione imbarazzante, quella dell’antieuropeismo targato Pci, di cui, oggi, a sinistra nessuno vuole parlare, mimetizzandosi dietro il “Manifesto di Ventotene”, “riletto” a proprio piacimento.