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Nuova bufera Ue

Vieni avanti Pechino : chi sono i politici europei e italiani finiti nella rete di Huawei

Europa - di Alice Carrazza - 14 Marzo 2025 alle 10:38

A Bruxelles è tempo di burrasca. Altro giro, altro scandalo. Niente Quatar, ma al suo posto il colosso cinese Huawei. Il copione è sempre lo stesso: viaggi di lusso, biglietti per eventi sportivi e bonifici sospetti, il tutto condito da un’opacità istituzionale che rende il confine tra lobbying e tangenti sempre più sfocato. A finire sotto la lente della Procura federale belga sono circa quindici tra eurodeputati ed ex membri del Parlamento Ue.

L’indagine su Huawei e gli eurodeputati tirati in ballo

Ieri all’alba, un centinaio di agenti della polizia giudiziaria federale ha perquisito ventuno indirizzi tra Bruxelles, le Fiandre, la Vallonia e il Portogallo. Il quotidiano Le Soir riferisce che i magistrati ipotizzano l’esistenza di un’organizzazione criminale che avrebbe operato sotto le mentite spoglie del lobbying commerciale, remunerando politici per favorire gigante high tech nella sua battaglia per il controllo del mercato del 5G.

Uno dei nomi al centro dell’inchiesta è Valerio Ottati, 41 anni, cittadino italo-belga, direttore degli affari pubblici dell’ufficio Huawei a Bruxelles dal 2019. Prima di approdare al colosso cinese, Ottati aveva lavorato come assistente per l’ex europarlamentare di Forza Italia Enzo Rivellini e per Nicola Caputo, oggi tra le file di Renzi. Sebbene entrambi non risultino indagati, il passato di Ottati nei corridoi del Parlamento europeo rende il suo coinvolgimento un tassello fondamentale.

Due uffici parlamentari sono stati sigillati: uno appartiene a un assistente dello staff di Marco Falcone (Forza Italia), che risulta estraneo all’inchiesta, e l’altro ad Adam Mouchtar, collaboratore dell’eurodeputato bulgaro Nikola Minchev (Renew Europe), anch’egli non indagato. Secondo gli investigatori, le operazioni di Huawei miravano a evitare che le pressioni americane ed europee portassero all’esclusione del colosso cinese dal business delle reti.

Un sistema collaudato: dal Qatargate al Huaweigate

Due anni e mezzo dopo il Qatargate, i media del Belgio evocano paralleli simili. Anche questa volta, gli investigatori hanno individuato un sistema di pagamenti occulti che potrebbe configurare reati di corruzione, falso e riciclaggio.

Il colosso di Shenzhen, nel mirino della comunità internazionale da anni per le accuse di spionaggio e ingerenza politica, ha investito milioni di euro in lobbying a Bruxelles, scalando le classifiche delle aziende più influenti nella capitale belga. Secondo gli ultimi dati, Huawei ha speso fino a 2,25 milioni di euro all’anno per le sue attività di influenza politica.

Ma il sospetto è che il colosso non si sia limitato alle attività di lobbying tradizionali. «I benefici finanziari legati alla presunta corruzione sarebbero stati mescolati a flussi finanziari collegati al pagamento delle spese della conferenza e versati a vari intermediari per nascondere la natura illecita dei fondi», ha dichiarato la Procura di Bruxelles.

La grillina Liuzzi: dal governo Conte alle dipendenze di Huawei

Il colosso cinese intrattiene da tempo rapporti stretti con i politici europei e anche con autorevoli ex esponenti dei governi italiani: il nome più rilevante è quello di Mirella Liuzzi, ex deputata del Movimento 5 Stelle, già sottosegretario al Mise (con delega proprio alle telecomunicazioni) nel governo Conte II, è passata direttamente dalle stanze della politica alla consulenza per Huawei con un ruolo strategico nei progetti di marketing e comunicazione per la big tech del Dragone. Una consulenza che suscitò all’epoca non poche perplessità. Infatti, fu proprio lei che, durante il suo mandato, aveva seguito da vicino il delicato dossier 5G.

Un sistema da scardinare a Bruxelles

Ciò che emerge è un sistema in cui ex assistenti parlamentari si trasformano spesso in lobbisti. Negli ultimi dieci anni, 166 ex assistenti del Parlamento europeo hanno varcato questa linea, entrando nel mondo delle lobby.

Huawei non è l’unica a operare in questo modo. Anche TikTok ha investito oltre un milione di euro in azioni lobbiste a Bruxelles, con una presenza costante nelle istituzioni europee. E la lista si allunga: Lenovo, Hikvision, Dji e altre aziende cinesi sono tutte registrate nel Transparency Register dell’Ue, con un budget totale di lobbying che sfiora i 6 milioni di euro annui.

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di Alice Carrazza - 14 Marzo 2025