
Oltre il luogo
Musei: basta cimiteri della cultura. Devono essere officine di identità e di energia in movimento
Tra politicamente corretto, identità smarrite e il rischio di diventare scatole vuote: i musei devono tornare a essere posti vivi e pulsanti di cultura
Si discute da tempo sull’attuale assetto dei musei e sulla necessità di “svecchiarli” e trasformarli in spazi che suscitino maggiore interesse nel pubblico. La direzione è quella di andare oltre luoghi che, talvolta, danno l’impressione di essere simulacri del passato o, in altri casi, ripetizioni: carrellate statiche di opere, figlie di un presente autoreferenziale, intriso di concettualismi vari. La domanda preliminare, però, piuttosto che proporre ricette o soluzioni, è cosa si intenda oggi per museo o, meglio, quale sia il suo ruolo, attuale e concreto. Non si tratta di dare definizioni, né di oziosa speculazione, ma di porre l’attenzione su questi interrogativi, per guardare alla realtà odierna e per comprendere, a partire da questa, dove si vuole andare a parare. E perché.
Musei oggi: templi della cultura o cimiteri della memoria
Troppo semplice è accontentarsi, oggi, di musei come semplici istituzioni votate alla custodia, alla conservazione e all’esposizione di oggetti di varia natura, per promuoverne la conoscenza e lo studio. Nonostante occorra sempre avere presenti questi fondamenti, da cui è giusto partire, il mondo è totalmente mutato e i musei rischiano di trasformarsi in cimiteri della cultura, sempre più estranei alla vita reale e lontani da qualsivoglia esigenza esperienziale o di ricerca. Di fatto, ci si potrebbe accorgere di essere rimasti arroccati a un’idea cristallizzata, che non è stata nutrita da nuova linfa vitale. A quel punto, non resterebbe che recitare il De Profundis e passare oltre.
L’arte non è un fossile: il monito di Antonio Spadaro
A questo proposito, non si può non condividere quanto ha scritto il giornalista-teologo Antonio Spadaro, sottosegretario del Dicastero Vaticano per la Cultura e l’Educazione, che, in un recente articolo sulle colonne di Artribune, ha sottolineato: «Nei musei, nei centri storici, nelle chiese, tutto sembra stratificato, congelato, impolverato dal tempo e dalle guide turistiche che recitano a memoria il copione delle didascalie. Un’arte imbalsamata, catalogata, perfetta, intoccabile. Ma l’arte è un’altra cosa: è una ferita aperta, un viaggio, un’esperienza».
L’illusione del politicamente corretto
Di contro, la stessa definizione data dall’International Council of Museums (Icom) nel 2022, secondo cui i musei sarebbero luoghi “aperti al pubblico, accessibili e inclusivi” che “promuovono la diversità e la sostenibilità”, rischia di restare una petizione di principio condita da belle parole e nulla più. Definizione, peraltro, tanto “politicamente corretta” quanto non sufficiente a leggere l’attuale condizione degli stessi musei, né tantomeno a tentare di comprenderne la funzione in una società nella quale i gusti e le tendenze sono talmente mutevoli da richiedere uno sguardo costante, non impantanato in definizioni di sorta, ma vigile e attento. Il che, giusto sottolinearlo, non vuol dire assecondare le mode, bensì, al contrario, comprendere dove va il mondo e come vorremmo che i musei si posizionino in questo processo dinamico.
Non basta conservare: bisogna tramandare
Ripetere a noi stessi o al vento, come un mantra, che anche i musei (come tutto ciò che ci circonda) debbano essere inclusivi e sostenibili non risolve il problema. Ma inclusivi di cosa, se il loro significato si dissolve in formule già viste? Sostenibili per chi, se non hanno un’anima? Un museo senza identità non è né inclusivo né sostenibile. È solo un contenitore vuoto, un pretesto culturale per il nulla. Non basta conservare: bisogna tramandare. Non basta esporre: bisogna raccontare.
Arte liquida e consumo rapido: il rischio di perdere tutto
Riprendendo ancora le parole di Antonio Spadaro: «Siamo fermi dentro un’epoca che consuma immagini a raffica. L’estetica dell’I like, della fruizione rapida, del vedere senza guardare. Scroll. Swipe. Altro scroll. Anche le opere d’arte diventano parte di questo flusso liquido, evanescente. La Cappella Sistina diventa un post su Instagram, la Venere di Botticelli uno sticker di WhatsApp. E in questo remix continuo, in questo consumo seriale di bellezza, rischiamo di perdere tutto».
Oltre le quattro mura: l’arte che vive fuori dai musei
Del resto, se molta arte oggi si fa fuori dai musei—per strada, in giro, sul corpo delle persone, sui muri dei palazzi, sulla sabbia—insomma, un po’ dovunque e non passa dentro quattro mura, ancorché storiche e istituzionali, vorrà pur dire qualcosa. Un museo ha senso se è luogo dell’identità, non una natura morta o moribonda, visto che a questa è sempre meglio preferire la natura vivente, che racchiude ed esprime energia. L’identità non è un concetto astratto, ma il cuore di noi stessi, dei popoli, delle epoche che si sono succedute, delle aree geografiche in cui la vita si è manifestata e si è raccontata. È l’essenza: carne, emozioni, intelletto o, se si preferisce, spirito, anima, corpo, acqua, terra e fuoco. L’identità è il colore, rispetto a un mondo grigio o giallo-uovo, a immagine e somiglianza dei palazzi tutti uguali di ogni periferia urbana.
I musei e l’identità come chiave di lettura
Ecco, dunque, che il ritrovarsi in uno spazio comunitario che riconosciamo e che, perciò, è “nostro” è medicina per l’anima, perché riconcilia il rapporto tra l’uomo e l’arte e tra questa e le istituzioni museali dalle quali è proposta. Ci permette non di assistere da spettatori estranei e distratti, ma di partecipare, di vivere. In una parola: di essere noi stessi il Museo. Abbiamo bisogno di luoghi viventi, non di sale espositive per turisti distratti; non plastificazioni del passato o del contemporaneo da esibire come vetrine d’albergo. Il museo non è un gadget: vogliamo che sia un’arca della nostra essenza e che dia la misura di cosa voglia dire civiltà, rispetto alle incerte direzioni umane di una società occidentale (purtroppo sempre più planetaria), che mostra in ogni aspetto tutta la propria liquidità ed evanescenza, dietro a slogan di facile consumo che servono ad appiattire ancora di più.
Il museo come officina di energie, non come plastificazione del passato
Se il museo non diventa un’officina di energie in movimento, allora sarà travolto dal vento dell’oblio, fagocitato dal consumismo del tempo presente e superato dalle ideologie del transumanesimo, che risolvono tutto grazie a una robusta overdose di intelligenza artificiale. Un museo non è neutrale, non è un magazzino di cose morte. È un corpo vivo. È Cultura vera! Ogni affresco, ogni statua, ogni reperto, ogni documento è un nodo della trama che ci lega alla nostra identità. Se sapremo farne il cuore pulsante della nostra civiltà, comprendendo che la sua funzione non è di essere una passerella per turisti mordi e fuggi, o un parcheggio per il passato o per ideologie di largo consumo, allora diverrà carburante per il futuro e per una concezione di società nella quale la libertà del pensiero e quella dell’azione (non certo il pensiero unico) abbiano ancora un senso essenziale ed esistenziale fondante.
Su come permettere che tutto questo si realizzi, la partita è ancora da giocare. L’importante è che le forze in campo siano fresche e che siano mosse da competenza, visione ed entusiasmo: ingredienti essenziali per immaginare una nuova narrazione e gli strumenti con cui attuarla.