
La recensione
In un libro la “visione” (e la denuncia) di Dante sui mali del nostro secolo, misoginia e femminicidio
Nel panorama della critica dantesca, il saggio La violenza misogina nella Divina Commedia di Antonello Iasevoli, avvocato e studioso, (edito da Libreria Editrice Redenzione) si presenta come un’opera tanto erudita quanto necessaria. La prefazione è curata dalla professoressa Elena Lazzaro. Con uno stile indagatore che unisce l’analisi letteraria alla ricostruzione storica, l’autore ci invita a guardare oltre la patina spirituale della Divina Commedia, immergendoci nella cruda realtà delle donne vissute nel Trecento. Come scriveva Henri Bergson, “il passato esiste ancora” nella nostra memoria pura: Iasevoli, con vigilata consapevolezza, scava nelle nei meandri di un’epoca per illuminare le ombre di un presente che ancora stenta a liberarsi dai pregiudizi.
Antonello Iasevoli offre con La violenza misogina nella Divina Commedia un contributo straordinario alla comprensione della condizione femminile nel Medioevo, utilizzando la lente della poetica dantesca per rivelare verità scomode. Il saggio si apre con un’analisi delle tre figure femminili più emblematiche della Commedia: Francesca da Rimini, Pia de’ Tolomei e Piccarda Donati. Ognuna rappresenta un aspetto della violenza maschile, fisica e psicologica, che permeava la società del tempo. Francesca, uccisa dal marito Gianciotto per il suo amore con Paolo, incarna la punizione dell’adulterio percepito, senza possibilità di redenzione terrena. Pia, con il suo lamento struggente – “Siena mi fé, disfecemi Maremmal” (Purg. V, 134) – racconta di un assassinio ordito dal marito per motivi politici, un destino che Dante accoglie con delicatezza nel Purgatorio. Piccarda, invece, strappata con la forza alla vita monastica per un matrimonio imposto, testimonia la negazione della volontà femminile anche nelle scelte spirituali.
L’autore non si limita a un’interpretazione letteraria, ma contestualizza queste storie in un quadro storico ampio e documentato. Richiama, ad esempio, le parole di un notaio fiorentino del 1350, che rifletteva lo spirito del tempo: “E s’ella è fanciulla femina, polla a cuscire e nonne a leggere, ché non istà troppo bene a una femina sapere leggere, se già no la volessi fare monaca”. Questa mentalità, radicata nel retaggio romano e greco – dove la donna era assimilata a un oggetto utile alla procreazione o al piacere – si perpetua nel Medioevo, un’epoca segnata dal crollo dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.) e dalle stigmate di un sistema patriarcale oppressivo. Iasevoli evidenzia come la donna fosse sottoposta all’autorità assoluta di padri e mariti, destinata al matrimonio o al monastero, spesso venduta come merce o ridotta alla schiavitù nei postriboli, bollata dalla società come inferiore e debole.
A supporto della sua tesi, l’autore porta prove concrete: i ritrovamenti ossei analizzati da studi archeologici, che mostrano “traumi da parata” – segni di difesa contro percosse – parlano di una violenza diffusa e oscurata. Questo si collega a un excursus storico che dal matriarcato delle società primitive, dove le donne avevano ruoli sociali prestigiosi, conduce al maschilismo del mondo classico e medievale. La transizione è brutale: la donna, da figura centrale, diventa proprietà del parente maschio più prossimo, colpevole persino delle violenze subite, accusata per il suo fascino o per una condotta ritenuta “disonorevole”.
Iasevoli nota come tali pregiudizi riecheggino ancora oggi, in una società che fatica a estirpare il disvalore della donna e la cultura del possesso. Eppure, Dante offre uno spiraglio di luce. Se nello Stilnovo di Guinizelli e del giovane Dante la donna era un angelo in terra, “dispensatrice di salvezza” e tramite verso Dio – come emerge nella Vita nova –, nella Commedia questa visione si scontra con la realtà. L’amore maschile che il Poeta descrive non è elevazione spirituale, ma imposizione violenta: un “amore che non ama”, come lo definisce Iasevoli, lontano dalla “gentilezza’ stilnovistica. L’autore tratteggia queste figure con grazia, dando voce a chi non l’ha mai avuta, e il suo sguardo si carica di una compassione che traspare tra le righe.
Il saggio si chiude con un appello potente: ricordare il passato per cambiarlo. Citando Aristotele – ‘noi siamo quello che facciamo ripetutamente’ – e Bergson, Iasevoli sottolinea che gli errori degli ‘uomini di ieri’ vivono in noi, ma spetta agli ‘uomini di oggi’ spezzare questo ciclo. Il testo, arricchito da fonti autorevoli e da un’analisi meticolosa, non è solo un’indagine storica e letteraria, ma un omaggio alle donne umiliate, alle loro intelligenze calpestate, alla loro libertà negata. È anche un invito alla società contemporanea a liberarsi dai retaggi di un’epoca oscura, procedendo verso la parità e il rispetto.
La violenza misogina nella Divina Commedia è un’opera che scuote e illumina, un ponte tra il Trecento e i nostri giorni, scritto con rigore e cuore. Un monito e una celebrazione, che rende giustizia a quelle donne che, come scrive Dante, “risplenderanno come lo splendore del firmamento” ((Dn. 12, 3), nonostante il peso di un mondo che le ha volute silenziose. Questo lavoro non è solo un omaggio alle donne violate, ma un monito affinché gli “uomini di oggi”, come li chiama l’autore, riscrivano il destino delle generazioni future. Nel 2025, mentre scorriamo feed digitali e ci confrontiamo con un mondo iperconnesso, le ombre della violenza misogina descritte da Antonello Iasevoli nella Divina Commedia ci parlano ancora. Francesca, Pia e Piccarda non sono solo figure del Trecento: sono le donne di oggi, intrappolate in relazioni tossiche, vittime di femminicidi mascherati da “crimini passionali”, o costrette a sacrificare la propria voce per conformarsi a un sistema che le vuole silenziose. I “traumi da parata” di cui parla Iasevoli si riflettono nei dati moderni: una donna su tre, secondo l’ONU, subisce violenza nel corso della vita, spesso da chi dovrebbe proteggerla.
Eppure, come Dante ci ha insegnato, c’è uno spiraglio. Oggi la donna non è più solo musa o vittima: è leader, creatrice, protagonista. Aristotele lo diceva: “Noi siamo quello che facciamo ripetutamente”. Se il passato ci ha consegnato un’eredità di oppressione, sta a noi, uomini e donne di oggi, spezzare il ciclo. Educare, ascoltare, rispettare: queste sono le armi per riscrivere il futuro. Ora tocca a noi.