
Alla faccia dell'accoglienza
Integrazione? A Ferrara come a Islamabad: il racconto dell’orrore di una donna pakistana in Italia schiavizzata 12 anni dal marito
A "Fuori dal coro" su Rete 4 la sconcertante denuncia di Amira, una immigrata che vive nella ridente provincia emiliano-romagnola da sottomessa alle leggi della Sharia, soggiogata e torturata dal marito che le è stato imposto con nozze combinate. E ora la figlia rivive lo stesso destino...
In ostaggio del marito e in preda alla paura per un interminabile inferno: questo è stato e tanto è durato il calvario vissuto da Amira, una giovane donna pakistana residente in provincia di Ferrara, che ha vissuto per 12 anni come schiava di un matrimonio islamico forzato. Il suo racconto, testimonianza di una Sharia ben più che strisciante che insiste e persiste nelle città italiane popolate da famiglie di fede musulmana, restituisce il racconto choc di una donna schiavizzata e torturata dal marito. Uno di quei tanti casi sommersi che “Fuori dal coro” ha denunciato e drammaticamente ripercorso su Rete 4.
La Sharia in Italia, la drammatica testimonianza di una donna pakistana schiavizzata dal marito
Una testimonianza, quella che la donna ha affidato al programma Mediaset, in cui Amira racconta le torture e gli abusi che il marito le ha inflitto per anni, in nome e per conto di una cultura e di un credo religioso che mal si sposa – e che decisamente rifiuta ogni principio di declinazione e adeguamento – ai dettami della società occidentale in cui la coppia, in spregio ai doveri impliciti all’accoglienza ricevuta e ai principi d’integrazione che ne conseguono, ha vissuto. «Vogliono che le donne stiano sempre a casa. Mi trattano come un essere inferiore, se faccio qualcosa di sbagliato mi vogliono punire o uccidere», denuncia la donna. E i telespettatori assistono sgomenti al racconto dell’orrore.
Donna pakistana schiavizzata dal marito in Italia: un racconto dell’orrore che mette i brividi
Un racconto che parte dal principio, da quando Amira, costretta a sposare un uomo scelto dalla sua famiglia secondo le leggi della sharia che prescrivono il matrimonio combinato, ha cominciato sin da subito a subire violenze fisiche e psicologiche. Abusi che si sono reiterati per oltre un decennio. E che ancora oggi, con segni indelebili impressi a caratteri di fuoco sulla sua pelle e nelle sua mente, la inducono a tenere «sempre la luce accesa per dormire, perché ho ancora molto paura – confida la donna alle telecamere di Rete 4 –. Per me è stata una prigione a casa dei miei suoceri. Loro mi minacciavano di picchiarmi e tante altre cose. Dovevo sempre stare a casa».
Dalle nozze combinate all’incubo della vita matrimoniale
Dal primo istante della sua vita di coppia, che per lei è cominciata il giorno del matrimonio, quando ha conosciuto il marito che le era stato destinato e, dal giorno successivo, ha iniziato a vivere con lui. Con lui, e con l’inferno che le si era prospettato dinanzi. Un delirio di dolore, sopraffazione, prostrazione e coercizione, che non si è interrotto neppure di fronte alla gravidanza, anzi… «Ero incinta di sette mesi, mio cognato mi picchiò – prosegue il suo racconto –. Non potevamo usare il bagno. dovevamo andare in un altro bagno fuori dalla casa, anche con i bambini che per questo erano sempre malati».
Il racconto choc: «Voglio dimenticare quello che succedeva»
Ma non è bastato stringere i denti, incassare, sopportare e provare ad andare avanti. Perché nel frattempo, se Amira non aveva più le forze per portare a termine i lavori domestici, era comunque costretta a inginocchiarsi e chiedere scusa. E poco importava se accusasse stanchezza o malesseri legati alla gravidanza: «Anche quando era incinta facevo tutte le faccende a casa, ma se non ce la facevo mi facevano restare tutta la notte seduta», racconta la donna a Fuori dal coro che, non per niente, nel corso dell’intervista si vede costretta a fermarsi a più riprese, perché provata dal passato. E, soprattutto, ancora dolorante nel riviverlo. Soprattutto quando allude alle violenze subite: «Nella notte qualcuno veniva nella mia stanza, voglio dimenticare quello che succedeva».
Il dolore per un destino che si è perpetuato di madre in figlia
Ma dimenticare come? Come cancellare dalla memoria emotiva il fatto che il marito ha sequestrato la figlia di 12 anni per darla in sposa a un uomo più anziano? Come cancellare un passato fin troppo presente e che, proprio in queste settimane a Ferrara, vedrà aprire il processo contro la famiglia che l’ha tenuta in ostaggio per tutto questo tempo? Lei continua a vivere nel terrore. E nel dolore di un destino che si è perpetuato di madre in figlia.
La denuncia di una donna pakistana schiavizzata dal marito in Italia
La sua storia mette in luce come, anche in Italia, alcune donne possano essere vittime di pratiche oppressive legate a interpretazioni estremiste delle tradizioni religiose. Questo caso solleva interrogativi sulla tutela dei diritti delle donne all’interno di comunità che applicano norme tradizionali in contrasto con le leggi italiane. La vicenda di Amira evidenzia la necessità di un impegno concreto da parte delle istituzioni per garantire che tutte le persone, indipendentemente dalla loro origine culturale o religiosa, possano vivere libere da coercizioni e violenze.
Alla faccia dell’integrazione e dell’accoglienza…
Per questo, e tutto quello a cui sottende, la testimonianza di Amira rappresenta un appello urgente affinché si promuova l’integrazione e il rispetto dei diritti umani fondamentali. Assicurando che nessuna donna sia costretta a subire condizioni di sottomissione o abusi in nome di tradizioni o credenze religiose. Nessuna donna, o giovanissima donna che sia…