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Draghi illustra il rapporto sulla Competitività Ue in audizione al Senato

Rapporto sulla competitività

L’avvertimento di Draghi all’Ue: «L’eccesso di regole equivale a un dazio del 45%»

L'ex presidente della Bce chiarisce che il prima problema dell'Europa non è Trump, ma il ritardo nelle scelte strategiche: servono risposte urgenti di fronte a «un mutamento dell'ordine internazionale in parte annunciato, in parte improvviso»

Politica - di Agnese Russo - 18 Marzo 2025 alle 15:03

Oggi è «ancora più urgente» per l’Ue spingere sull’acceleratore della competitività. A dirlo è stato Mario Draghi, illustrando il Rapporto sul futuro della competitività europea in audizione davanti alle Commissioni riunite Bilancio, Attività produttive e Politiche Ue della Camera e del Senato e alla vigilia di un Consiglio europeo che ha la competitività fra i propri punti all’ordine del giorno. Da quando quel Rapporto è stato presentato, nel settembre del 2024, c’è stato «un mutamento dell’ordine internazionale in parte annunciato, in parte improvviso per la rapidità con cui tutti questi cambiamenti sono stati annunciati o attuati», ha spiegato Draghi, precisando che il Rapporto «non è obsoleto, ma ancora più urgente», perché se «non riusciamo a focalizzarci di più sui settori» che aumentano maggiormente la crescita come il digitale e «a fare crescere l’industria tradizionale non riusciremo neanche a soddisfare questi nuovi bisogni».

Draghi: «Il mutamento dell’ordine internazionale rende più urgente la competitività Ue»

Il rapporto, ha precisato Draghi, è stato preparato in periodo «di pace, la storia che il rapporto dipana è una storia di pace». Oggi gli europei sono «sempre più poveri» con un reddito disponibile pro capite che è la metà degli Usa, bassi consumi rispetto agli americani e il doppio del risparmio, ha proseguito l’ex presidente della Bce, sottolineando che questa differenza «dipende essenzialmente della presenza di un settore ad alta tecnologia negli Usa».

La necessità di recuperare «ritardi preoccupanti»

Si tratta di una situazione che l’Ue si trova a fronteggiare, ha ricordato Draghi, dopo aver già accumulato «ritardi preoccupanti». «La nostra prosperità, già minacciata dalla bassa crescita per molti anni, si basava su un ordine delle relazioni internazionali e commerciali oggi sconvolto dalle politiche protezionistiche del nostro maggiore partner. I dazi, le tariffe e le altre politiche commerciali che sono state annunciate avranno un forte impatto sulle imprese italiane ed europee», ha aggiunto Draghi, avvertendo che troppa regolamentazione e relativa frammentazione penalizzano la crescita economica al pari dei dazi.

L’avvertimento di Draghi all’Ue: «L’eccesso di regolamentazione equivale a un dazio del 45%»

«La regolamentazione prodotta dall’Unione Europea negli ultimi venticinque anni – ha detto Draghi – ha certamente protetto i suoi cittadini ma si è espansa inseguendo la crescita di nuovi settori, come il digitale, e continuando ad aumentare le regole negli altri. Ci sono 100 leggi focalizzate sul settore high tech e 200 regolatori diversi negli Stati Membri. Non si tratta di proporre una deregolamentazione selvaggia ma solo un po’ meno di confusione».

Le regole, ha sottolineato Draghi, «troppe e troppo frammentate, penalizzano, soprattutto nel settore dei servizi, l’iniziativa individuale, scoraggiano lo sviluppo dell’innovazione, penalizzano la crescita dell’economia». Un recente studio del Fondo Monetario Internazionale, ha riferito, «ha mostrato come l’eccesso di regolamentazione e specialmente la sua frammentazione abbia contribuito a creare delle barriere interne al mercato unico che equivalgano a un dazio del 45% sui beni manifatturieri e del 110% sui servizi». Per Draghi «non possiamo dunque stupirci se i nostri inventori più brillanti scelgano di portare le loro aziende in America, e se i cittadini europei li seguano con i propri risparmi».

La difesa europea come «passaggio obbligato» per la sicurezza

Draghi, sottolineando l’importanza per l’Ue di investire in Ai nel tentativo per lo meno di ridurre il gap con gli Usa e la Cina e di aggredire il caro bollette come «priorità per il rilancio della competitività», si è a lungo soffermato sul tema della difesa, chiarendo che si tratta di un altro terreno sul quale non si può aggirare l’obbligo di accelerare di fronte al fatto che «la nostra sicurezza è oggi messa in dubbio dal cambiamento nella politica estera del nostro maggior alleato rispetto alla Russia che, con l’invasione dell’Ucraina, ha dimostrato di essere una minaccia concreta per l’Unione Europea».

«L’Europa avrebbe dovuto comunque combattere la stagnazione della sua economia e assumere maggiori responsabilità per la propria difesa in presenza di un minore impegno americano da tempo annunciato. Ma gli indirizzi della nuova amministrazione hanno drammaticamente ridotto il tempo disponibile. Speriamo ci spingano con eguale energia ad affrontare le complessità politiche e istituzionali che hanno finora ritardato la nostra azione».

L’invito a coinvolgere il settore privato: «È pronto»

«La difesa comune dell’Europa diventa un passaggio obbligato per utilizzare al meglio le tecnologie che dovranno garantire la nostra sicurezza. Persino la nostra valutazione dell’investimento in difesa, oggi basata sul computo delle sole spese militari, andrà modificata per includere gli investimenti su digitale, spazio e cybersicurezza che diventano necessari alla difesa del futuro», ha detto Draghi, rilanciando la strada del debito comune con gli eurobond e invitando a coinvolgere il settore privato nella difesa. «È pronto», ha detto l’ex presidente della Bce, per il quale la strada da percorrere dovrebbe essere quella della cessione di sovranità. «Occorre iniziare un percorso che ci porterà a superare i modelli nazionali e a pensare a livello continentale», ha detto Draghi, secondo il quale la strada da percorrere è quella della «cessione di sovranità».

FdI: «Nulla di nuovo rispetto alle ricette che ha sempre dato»

«Nulla di nuovo rispetto alle ricette che ha sempre dato. Noi siamo sensibili alla cessione di sovranità nazionale rispetto ad alcuni temi, ma il rapporto lo conoscevamo e non c’è nulla che ci possa in qualche maniera portare a commenti diversi da quelli che abbiamo già fatto», ha commentato il senatore di FdI, Luca De Carlo, presidente della commissione Industria, commercio, turismo, agricoltura e produzione agroalimentare del Senato. «Noi cerchiamo di utilizzare il suo invito, quello ad attirare investimenti privati. È un invito che accogliamo ma che si dà quando c’è stabilità, visione, fino a oggi l’Europa non ha avuto una visione», ha proseguito De Carlo, sottolineando che «noi ci auguriamo che invece la si possa avere da qui in avanti, ammettendo anche taluni errori come quello di aver considerato poco la transizione economica e sociale e molto quella ecologica, credendo che fosse una transizione ecologica mentre era una transizione ideologica».

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di Agnese Russo - 18 Marzo 2025