
L'intervista
L’oncologo Ascierto: “Il vaccino anti-cancro funziona. Sarà pronto entro due anni”
Dall’immunoterapia alla rivoluzione dell’mRna: il vaccino su misura contro il melanoma potrebbe diventare la nuova arma per combattere il più aggressivo tumore della pelle
Negli ultimi anni, la ricerca oncologica ha compiuto passi da gigante, aprendo nuove prospettive terapeutiche. Tra le innovazioni più promettenti, il vaccino anti-cancro si distingue per il suo potenziale rivoluzionario nel trattamento di uno dei tumori cutanei più aggressivi. A un anno dall’avvio della fase III della sperimentazione, il professor Paolo Antonio Ascierto, oncologo di fama internazionale e direttore dell’Unità di oncologia melanoma, Immunoterapia oncologica e terapie innovative dell’Istituto nazionale tumori (Irccs) Fondazione Pascale di Napoli, spiega al Secolo d’Italia gli sviluppi dello studio.
Professore, siete ora nella fase III della sperimentazione del vaccino terapeutico per il melanoma. Quali risultati avete ottenuto finora e quanto è efficace nel ridurre il rischio di recidiva e metastasi?
«Prima di tutto, chiariamo un concetto fondamentale: quando parliamo di vaccini contro il cancro, parliamo di vaccini terapeutici, non preventivi. Non impediscono l’insorgenza del tumore, ma aiutano a combatterlo una volta che si è sviluppato. L’unica eccezione è il vaccino contro l’Hpv, che previene l’infezione virale riducendo il rischio di tumori correlati.
I vaccini terapeutici sono stati provati per anni, senza successo. Oggi, però, grazie alle tecnologie sviluppate durante la pandemia di Covid-19, il vaccino a mRna rappresenta una svolta. I dati della fase II hanno dimostrato un’importante efficacia: l’associazione del vaccino personalizzato con l’immunoterapia classica ha ridotto il rischio di recidiva e di metastasi. Questo ci ha dato grande entusiasmo e ha portato all’avvio della fase III. L’arruolamento dei pazienti si è concluso a luglio 2024 e i primi dati definitivi sono attesi per l’inizio del 2027».
Quali sono i vantaggi di questa tecnologia rispetto ai trattamenti oncologici tradizionali?
«Il principio è quello di creare un vaccino su misura per ogni paziente. Dopo l’asportazione chirurgica del tumore, il tessuto viene inviato al laboratorio di Moderna per individuare i neoantigeni, molecole che il corpo riconosce estranee. Se ne selezionano circa 34, e, su questa base, si sviluppa un vaccino a mRNA specifico per quel paziente.
Rispetto ai trattamenti oncologici tradizionali, il vantaggio è l’elevata personalizzazione e la capacità di attivare il sistema immunitario in modo selettivo contro il tumore, con una potenziale riduzione degli effetti collaterali. Inoltre, l’uso combinato con l’immunoterapia sembra amplificare l’efficacia della risposta immunitaria».
Quali sono le tempistiche previste per l’approvazione e la diffusione su larga scala?
«I primi dati dello studio di fase III arriveranno all’inizio del 2027. Se saranno positivi, il processo di approvazione regolatoria inizierà subito. La Fda impiega circa sei mesi per l’autorizzazione, quindi il vaccino potrebbe essere approvato negli Stati Uniti entro metà 2027. L’Ema, l’Agenzia europea per i medicinali, segue di solito a distanza di pochi mesi, il che significa che in Europa potrebbe essere disponibile entro la fine del 2027. Per l’Italia, i tempi dipenderanno poi dai processi di recepimento, che in genere richiedono circa un anno, portando alla possibile disponibilità tra il 2028 e il 2029».
Oltre al melanoma, il vaccino potrà essere applicato ad altri tumori?
«Assolutamente sì. Il melanoma è stato il primo obiettivo di studio, ma il concetto è applicabile in modo più ampio. Già sono in corso studi su tumori come quello del pancreas, del polmone e del rene, sempre nell’ambito del trattamento adiuvante, ovvero dopo la chirurgia, per prevenire le recidive.
Nei pazienti con tumore del pancreas, per esempio, si è osservato che un vaccino personalizzato combinato con immunoterapia ha attivato il sistema immunitario in modo significativo. Se lo studio sul melanoma darà dunque esito positivo, si apriranno nuove possibilità terapeutiche per molte altre neoplasie».
Negli ultimi anni, il melanoma è sempre più diffuso. Quali sono i dati attuali e come si può invertire questa tendenza?
«Secondo il rapporto Aiom-airtum 2024, sono circa 17.000 i nuovi casi di melanoma in Italia, un incremento di 4.300 casi rispetto ai 12.700 registrati nel 2023. Questa crescita è dovuta a diversi fattori: da un lato c’è maggiore consapevolezza e diagnosi precoci, dall’altro c’è un aumento dell’esposizione ai raggi ultravioletti, principale fattore di rischio per lo sviluppo del melanoma.
La prevenzione gioca un ruolo cruciale. Sono fondamentali campagne educative per sensibilizzare la popolazione sull’importanza di evitare l’eccessiva esposizione al sole, proteggere la pelle con creme solari adeguate e non fare lampade abbronzanti, che sono riconosciute come cancerogene. L’esempio dell’Australia è illuminante: grazie a massicce campagne di prevenzione, negli ultimi tre anni il numero di nuovi casi di melanoma ha iniziato a diminuire, invertendo il trend di crescita. Dobbiamo seguire lo stesso esempio
Oltre alla prevenzione poi, è essenziale l’auto-controllo dei nei e le visite dermatologiche regolari. Bisogna prestare attenzione ai segnali d’allarme: nei asimmetrici, con bordi irregolari, variazioni di colore, dimensioni superiori ai 6 mm ed evoluzione rapida nel tempo. In presenza di questi segni, è fondamentale rivolgersi subito a un dermatologo. Ogni persona dovrebbe sottoporsi a un controllo dermatologico almeno una volta all’anno».
Dunque, prevenzione e innovazione terapeutica possono cambiare il futuro della lotta al melanoma?
«Esattamente. La combinazione di nuove tecnologie terapeutiche e strategie di prevenzione è la chiave per ridurre l’incidenza e la mortalità del melanoma. La ricerca sta facendo progressi straordinari e siamo fiduciosi che nei prossimi anni potremo offrire ai pazienti strumenti sempre più efficaci per combattere questa malattia».