
L'analisi
Oltre la diplomazia: lo show della politica americana che in Europa si fatica a comprendere
Una scena come quella di Milei che al Cpac regala la motosega a Musk da questa parte dell'Oceano sarebbe impensabile, ma negli Usa la spettacolarità è parte integrante del dibattito pubblico
La politica americana è un mosaico complesso, caratterizzato da principi fondamentali e dinamiche uniche. Uno degli aspetti centrali è sicuramente la santificazione della libertà di parola, che, in un mondo in cui l’informazione è totalmente disintermediata, tende a produrre un effetto pirotecnico paragonabile a quello della scia di detriti lasciata da un fallimento nel lancio di un razzo. Negli Stati Uniti, ognuno esprime le proprie opinioni senza inibizioni, alimentando un dibattito pubblico immediato e senza filtri, in cui il fattore decisivo è l’impatto in termini di reazione di massa sui social media, più che il valore sostanziale dell’affermazione.
Ovviamente, questo non accade solo negli Stati Uniti, ma in gran parte del mondo. Tuttavia, quando si verifica in Europa, in qualche modo viene temperato dalla nostra generale sensibilità diplomatica, che negli ultimi anni inizia però a mostrare qualche segno di cedimento.
Un altro elemento fondamentale per comprendere ciò che succede Oltreoceano, e che dissemina i suoi effetti a livello globale, è la spettacolarità della politica. La politica americana è una sorta di show permanente, dove la narrazione e l’immagine spesso prevalgono sui contenuti. Per avere una chiara percezione di questo fenomeno, basta fare un giro al Cpac, la biennale manifestazione che raccoglie i conservatori americani e quelli provenienti da tutto il mondo.
Nelle sale, sempre ben arredate e con scenografie dal sapore sanremese, si aggira una moltitudine di cittadini di ogni provenienza e religione, che esaltano le loro appartenenze con lustrini e cilindri appariscenti, pantaloni a stelle e strisce o, spesso, con l’immagine del leader ben stampata sui jeans attillatissimi. Tanti Zio Sam, intere famiglie con figli al seguito di tutte le età, consumano la loro pizza take-away sulle sedie dorate e sui tappeti di velluto delle sale conferenze, ascoltando i dibattiti come se fossero al cinema con i pop corn.
Se poi vogliamo dare una rappresentazione visiva di questa spettacolarità, basti pensare all’ultimo evento dello scorso mese: mentre Elon Musk, con berrettino nero, occhiali da sole, cappottone e t-shirt neri con “catenazza” stile rapper, veniva intervistato da un impomatato e famoso anchorman, il presidente dell’Argentina, Javier Milei, si prestava a un cameo a dir poco esilarante. Irrompendo sul palco con la sua iconica motosega – non un oggetto piccolo e figurativo, ma un attrezzo lungo almeno un metro e mezzo – l’ha consegnata a Musk, ha fatto un rapido cenno al pubblico e si è dileguato.
Ora, immaginate una scena del genere in Europa: quale presidente o primo ministro potrebbe mai partecipare in questa modalità a un evento politico? Probabilmente nessuno. Forse solo Berlusconi, con le sue meravigliose barzellette, aveva rotto la tradizione seriosa, ma mai e poi mai si sarebbe prestato a una comparsata simile. Quando poi in questo quadro si innesta la figura di Donald Trump, che ha deciso di portare il suo stile negoziale da imprenditore sul palco della politica internazionale, associandolo a una comunicazione diretta e spesso provocatoria, ecco che si ridefinisce il modo in cui gli Stati Uniti si relazionano con il resto del mondo. Una dimensione che sta generando effetti controversi, ma indubbiamente significativi. I risultati finali sono ancora incerti, ma che le regole di gioco siano improvvisamente e irrimediabilmente cambiate è la realtà a cui dobbiamo, più in fretta possibile, abituarci.
*Deputato di FdI e segretario generale di Ecr