
Dopo due anni di udienze
Omicidio Diabolik, condannato all’ergastolo il killer di Piscitelli. Non riconosciuta l’aggravante del metodo mafioso
I giudici della Terza Corte di Assise di Roma hanno condannato oggi, 25 marzo, all’ergastolo Raul Esteban Calderon per l’omicidio di Fabrizio Piscitelli, il leader degli Irriducibili, noto come ‘Diabolik’, ucciso con un colpo di pistola alla testa il 7 agosto del 2019 nel parco degli Acquedotti. I giudici con la sentenza, arrivata dopo oltre cinque ore di camera di consiglio, non hanno riconosciuto però l’aggravante del metodo mafioso come chiesto invece dai pm Mario Palazzi, Rita Ceraso e Francesco Cascini.
Un processo lungo due anni
L’argentino, la cui vera identità, secondo l’accusa, è quella di Gustavo Alejandro Musumeci, ha seguito la lettura del dispositivo in videocollegamento dal carcere di Larino rimanendo impassibile. Presenti nell’aula bunker di Rebibbia la madre, la sorella e il fratello di Piscitelli, costituiti parti civili nel processo che si è aperto il 23 febbraio del 2023, e anche la vedova e le figlie di Piscitelli che invece non si sono costituite. Un processo durato oltre due anni, con più di quaranta udienze celebrate e decine di testimoni sentiti, dall’autista cubano, che accompagnava il leader degli Irriducibili e che era con lui sulla panchina quando il killer ha aperto il fuoco, alla ex di Calderon, Rina Bussone, diventata la sua principale accusatrice. Udienze in cui sono state depositate nuove informative dei carabinieri del Nucleo Investigativo e della Squadra Mobile e in cui è stato mostrato e analizzato il video del delitto, una videocamera posizionata sul terrazzo di un appartamento di via Lemonia riprende le fasi dell’omicidio: il killer dirigersi verso la panchina dove Piscitelli è seduto insieme al suo autista, l’esplosione del colpo mortale e la fuga.
Non c’è stato metodo mafioso
Nella requisitoria del 17 febbraio scorso, i pubblici ministeri hanno sottolineato come quello di Piscitelli “è stato un omicidio che ha avuto una grande eco. Un omicidio fatto in questa maniera è un omicidio come sanzione per aver ‘esondato’, come avviso ai naviganti perché Roma – aveva rimarcato il pm della Dda Palazzi – apparentemente così anarchica è invece un luogo di sanzioni, anche eclatanti, comminate anche in piazza, affinché si capisca chi comanda. Una ‘sanzione’ che doveva essere compresa da tutti. Un delitto che costituisce uno spartiacque tra il prima e il dopo. Piscitelli era un leader carismatico, battezzato dai Senese. E Senese è un ‘marchio registrato’ che se speso in modo non invano realizza una docile sottomissione degli astanti”. E oggi in sede di repliche Palazzi ha evidenziato che “il rispetto per la vita umana pretende verità anche se dolorosa. Piscitelli avrebbe dovuto rispondere davanti alla giustizia delle sue condotte ma non pagare con la vita. E’ una storia che non finisce qui”. Oggi i giudici con la condanna non hanno però riconosciuto il metodo mafioso.
La sorella di Piscitelli
“Credo che una sentenza diversa sarebbe stata il capolavoro dell’ingiustizia, certo sarebbe stato auspicabile il riconoscimento del metodo mafioso visto che mio fratello è stato descritto come un boss. Dopo quanto emerso nel corso del processo, Musumeci non poteva evitarsi un secondo ergastolo, oltre ai dodici anni già confermati in appello per un tentato omicidio”. Questo il commento affidato all’Adnkronos dalla sorella di Fabrizio Piscitelli dopo la sentenza dei giudici della Terza Corte di Assise di Roma che hanno condannato l’argentino Raul Esteban Calderon all’ergastolo ma senza il riconoscimento del metodo mafioso. La sorella di Piscitelli è parte civile insieme alla madre e al fratello nel processo che si è aperto nel febbraio del 2023 per Calderon.
“La Corte d’Appello e la Cassazione a cui certamente ricorreranno i legali di questo soggetto non credo daranno esiti diversi che decreterebbero la morte della giustizia. Mio fratello nonostante la sua devianza e nonostante abbia fatto parte di questo sudiciume, deve avere giustizia. Una risposta doverosa non solo a noi familiari ma anche – sottolinea la sorella di Piscitelli – alla parte di società più sana e civile. Spero che a breve il quadro ormai chiaro sui mandanti i cui nomi e soprannomi ricorrono da tempo, trovi la giusta cornice”. “Ringrazio l’Arma dei Carabinieri che con il suo passo ha dato una svolta a questa indagine”, ha aggiunto.