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Per un ritorno del “Sacro”: religione e spiritualità come antidoto al logorio del mondo moderno

La fede contro la decadenza

Per un ritorno del “Sacro”: religione e spiritualità come antidoto al logorio del mondo moderno

Una religione svuotata, divenuta protocollo, ridotta a burocrazia dello spirito, non ha più la forza per costituire un’alternativa, per ridestare l’uomo dal proprio sonno. I tempi attuali sono lo specchio di un’umanità che ha smesso di pregare, di osservare i riti, di comprendere il valore simbolico ed energetico della liturgia

Cultura - di Alberto Samonà - 16 Marzo 2025 alle 07:30

Il Sacro, nonostante per millenni sia stato un elemento distintivo della società, nel mondo attuale non ha più alcun peso. In quello che ancora viene definito Occidente, ma che assomiglia a un mero aggregato di interessi finanziari, militari ed economici, non ve ne è più traccia. Quanto all’Europa, si assiste alla perdita di ogni riferimento esistenziale, sostituito da un nuovo dogmatismo relativistico e pseudo individualista, che tenta di annientare, con la ferocia dell’ideologia post-umana, ogni barlume di tensione verso l’Alto e con esso, ogni etica, ogni stile di vita che sia improntato a una visione diversa dal mero consumo, di se stessi e di tutto il resto. Qui le Chiese secolarizzate continuano a sopravvivere quasi esclusivamente grazie ad apparati e strutture organizzative, che però non riescono più a coinvolgere, non entusiasmano, non accendono alcuna fiamma nei cuori delle persone. 

Per un ritorno del “Sacro”: neppure in Oriente la fede è al sicuro

In Oriente, dove non si è esaurita la spinta di religioni ancora radicate nel popolo – soprattutto nel caso dell’Induismo e dell’Islam – la situazione è solo apparentemente differente, poiché i rischi che si corrono sono evidenti: una spia per nulla confortante è l’ipertecnologizzazione dell’Asia, che rischia di annacquare le ultime tracce di spiritualità, che ancora resistono in alcune società, come quella indiana. Nonostante nel continente asiatico persista ancora una certa forza delle religioni distribuite diversamente nei vari territori (soprattutto Induismo, Islam, Buddhismo, Cristianesimo, Shintoismo, Taoismo, Confucianesimo), se si dovessero continuare a inseguire i modelli dell’occidente, anche in Asia si assisterà ad un definitivo abbandono della dimensione del Sacro, una sorta di espulsione dalla propria vita quotidiana e di sostituzione con altri modelli e visioni “usa e getta”, figlie dei nostri tempi. A ben guardare, non è un caso che gli antichissimi insegnamenti e la complessa metafisica delle religioni d’oriente vengano sbrigativamente liquidati (specie in occidente) come “filosofie orientali”, giusto per depauperarne la forza e assimilarle alle varie insalate culturali buone per tutti i palati e figlie del Nulla. 

Nel vicino Oriente, in certe zone dell’Africa e anche oltre, c’è poi il dato di fatto oramai cristallizzato della radicalizzazione islamista, con tutto il suo carico di cecità e di brutalità: la ferocia fondamentalista è il prodotto di un’idea di religione che non guarda al Divino, ma ad una forma estrema, espressione, sotto la maschera di un’adesione a principi religiosi, di un materialismo forse ancora più subdolo e insidioso di quello delle società occidentali, perché non percepibile, ma che in definitiva altro non è se non il totale travisamento del Sacro. 

L’epoca progressista rischia di annientare il valore della spiritualità

Viviamo in un’epoca che ha smarrito ogni centro, ogni riferimento, ogni asse. Nel mondo laicizzato, il progresso, con il suo clamore tecnologico e le sue promesse di emancipazione da ogni vincolo, non sta facendo altro che determinare un vuoto totale, nel quale gli zombie vittime del fentanyl e del crack, che invadono i marciapiedi di certi quartieri americani ed europei, altro non sono che le sue proiezioni più immediatamente visibili. Di fronte a valori di plastica, anche la ricerca di punti di riferimento in ambito spirituale si trasforma inevitabilmente in una spiritualità solo vagheggiata, senza alcuna forma. La ricerca del “Divino” non è più ascesi, ma si riduce a moda, a mera collezione di suggestioni senza radici, di esperienze volubili e soggettive.

E così, sincretismi di ogni genere invadono il mondo, in un mix informe di esoterismi, orientalismi filosofeggianti, assemblaggi vari che giocano con il Sacro e con i suoi simboli, senza entrarvi davvero, ma assecondando una confusa spiritualità simile a una nebulosa, buona forse quale rifugio dell’ego o come terapia del benessere; tutta roba che nulla ha a che vedere con una ricerca e un cammino reali, indirizzati ad una vera disciplina e ad una dimensione verticale della vita e dell’essere. 

La religione svuotata non ha forza: serve maggiore spiritualità

Rispetto a questo, una religione svuotata, divenuta protocollo, ridotta a burocrazia dello spirito, non ha più la forza per costituire un’alternativa, per ridestare l’uomo dal proprio sonno. I tempi attuali sono lo specchio di un’umanità che ha smesso di pregare, di osservare i riti, di comprendere il valore simbolico ed energetico della liturgia. E il fatto che dalle nostre parti le chiese si riempiano quasi esclusivamente in occasione di matrimoni e funerali è la rappresentazione plastica di questa crisi, con la religione percepita come una sorta di grande burocrate, che ratifica protocolli privi di significato che più nessuno segue: le regole che affondavano le proprie radici nell’unione tra il nostro piano materiale e il Trascendente, appaiono oramai come la loro caricatura. La spiritualità senza struttura è dispersione, la religione senza anima è formalismo e questo, a ben guardare, non è soltanto un incidente della modernità, ma lo specchio del suo cuore malato. 

Possiamo ancora difendere la spiritualità e la religione contro la decadenza?

La domanda è se, di fronte a un simile sfacelo, vi siano ancora delle possibilità: i più “fatalisti”, a questo punto potrebbero concludere che non c’è nulla da fare, poiché siamo nel “Kali Yuga”, in un tempo oscuro nel quale tutto è capovolto rispetto al normale, la cui ciclica ineluttabilità è oggettiva e non modificabile. Se anche si volesse sposare questa tesi, ciò non vorrebbe dire che allora siamo condannati ad attendere passivamente la fine. L’alternativa c’è, anche se può sembrare la meno sbrigativa e la più scomoda, ed è ricomporre l’unità tra spiritualità e religione, perché la ricerca di un significato profondo della vita, la connessione con il “Trascendente” nel proprio quotidiano, altro non sono che il ricollegarsi, legarsi (dal latino religāre) al “Divino”. Non si può più rifiutare l’idea stessa di religione nel nome di una spiritualità astratta, proiezione di un neospiritualismo di stampo materialistico. 

Ritrovare il Sacro vuol dire restituirgli la propria forma, riannodare il filo di una disciplina interiore ed esteriore, tornare al Rito, che non è puro formalismo come purtroppo viene spesso percepito, ma una possibilità di relazione con un’energia, con un influenza “dall’alto” che permette di orientare la vita. Spiritualità e religione non sono cose diverse, ma vanno insieme: l’una non può esserci senza l’altra, perché il risultato di questa frattura è sotto gli occhi di tutti. In un mondo di individui disorientati, incapaci di trovare una direzione e che hanno smarrito il Sacro, negandolo, violandolo o trasformandolo in una pappetta comoda da esibire sui social, il ristabilire in sé questa unità non è un’opzione, ma una necessità. 

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di Alberto Samonà - 16 Marzo 2025