
Il potere dei meme
Pikachu contro Erdogan: in Turchia è scoppiata la rivolta (pop)olare della generazione Z
"Il fatto che non sapessi nemmeno che ci fossero proteste in Turchia fino a quando qualcuno non è corso in giro vestito da Pikachu dimostra la potenza della viralità social"
A Istanbul la primavera è arrivata in anticipo, ma non profuma di gelsomini. Sa di gas lacrimogeni, blindati, manganelli. Eppure, tra una carica e un blackout informativo, sbuca un fulmine giallo: Pikachu. Non è un errore, né una caricatura. È l’immagine-simbolo delle proteste che scuotono la Turchia dopo l’arresto del sindaco Ekrem Imamoglu: un manifestante, travestito da Pokémon, affronta i cordoni della polizia come fosse l’ultima speranza di una generazione nata sotto il segno dell’algoritmo e cresciuta nel rumore bianco dei divieti.
“Pikachu dimostra il potere dei meme”
«Il fatto che non sapessi nemmeno che ci fossero delle manifestazioni in Turchia fino a quando qualcuno non è corso in giro protestando con addosso un costume da Pikachu ti mostra il potere dei meme», scrive un utente su X. E ha ragione. Dove fallisce la stampa, dove le emittenti vengono zittite a colpi di sanzioni, arriva la satira, la cultura pop. È la ribellione politica postmoderna che si traveste per farsi ascoltare.
Il sorriso di Pikachu contro il volto rigido del potere
Il potere turco ovviamente non ha gradito. In dieci giorni, quasi duemila fermi. L’ultimo a pagare il prezzo della verità è stato Mark Lowen, firma della Bbc, prima arrestato, poi espulso: una minaccia per l’ordine pubblico, riporta il comunicato dell’emittente britannica . Tradotto: fa troppe domande. Con lui, almeno altri dieci giornalisti messi a tacere, mentre sui social ben 700 account sono stati oscurati. Il regime non vuole testimoni. E allora chi c’è? C’è Pikachu, c’è la ragazza che legge un libro seduta davanti ai blindati, c’è il violinista che suona nella notte, c’è il derviscio danzante con la maschera antigas.
Imamoglu candidato dalla cella
Il motivo del casus belli è tutto in una sentenza: Imamoglu, sindaco di Istanbul, figura emblematica dell’opposizione, è stato arrestato per corruzione, e non solo. Ma nessuno ci crede. Perché Imamoglu rappresenta anche una minaccia politica: è l’unico in grado di battere Erdogan. Da vent’anni il Presidente regge il timone di Ankara, tra golpe falliti e leggi piegate a suo piacere. Non a caso, le regole lo vorrebbero fuori dai giochi nel 2028. Eppure, mentre lui stringe la morsa, Imamoglu – dal carcere – annuncia la sua candidatura alle presidenziali. Domenica scorsa, le primarie del Chp hanno registrato 15 milioni di votanti. Un segnale… forse.
Il parco Sarachane, nuovo Gezi Park?
Il parco Sarachane, cuore pulsante della protesta, rievoca quelle di Gezi nel 2013. Ma stavolta lo scenario è più frastagliato. Ci sono gli studenti, i partiti di sinistra, qualche eco nazionalista. Ma mancano i curdi, assenti su precisa scelta del partito filocurdo Dem. «Noi non siamo la massa di attivisti del Chp – ha dichiarato Tuncer Bakirhan, co-presidente del partito – abbiamo un problema che include e supera questa situazione». Il riferimento è al processo di pace con il partito dei lavoratori del Kurdistan, il Pkk, che Erdogan usa come leva per dividere l’opposizione. Risultato: una piazza combattiva ma non compatta. Una protesta che, quindi, rischia di spegnersi.
L’Occidente con le mani legate
Tuttavia, di fronte a questo scenario, l’Occidente ha le mani legate. Perché Ankara è una pedina strategica. Washington ha appena promesso di togliere le sanzioni per l’acquisto delle batterie missilistiche russe S-400: una mossa per ricostruire la fiducia tra partner Nato e avanzare congiunti tanto sul dossier ucraino che su quello siriano. A Parigi stessa storia. Ieri, al “summit dei volenterosi” per l’Ucraina, la Turchia ha inviato il vicepresidente Cevdet Yilmaz, accolto senza imbarazzi. La non interferenza negli affari degli altri stati questa volta è la regola.
Ai Mercati, però, questa agitazione non piace. Secondo un report del Financial Times, nei giorni successivi all’arresto di Imamoglu, la Borsa di Istanbul ha perso il 17%, e la Banca centrale ha bruciato 11,5 miliardi di dollari per frenare il crollo della lira turca. La crisi economica morde come non mai.
La festa che disperde la rivolta
Così non funziona, ed Erdogan cerca di intervenire. Il governo turco ha infatti allungato le vacanze per la fine del Ramadan: scuole, università, uffici, tutto chiuso. Milioni di turchi in viaggio lontano dalla metropoli. Una diaspora interna con l’obiettivo di spegnere le piazze e disperdere il dissenso.