
Il punto di vista
Più filosofia, meno ideologia: la Babele delle leggi e l’assurdo caso dell’Italia costretta a pagare per aver salvato migranti
La sentenza della Cassazione che impone risarcimenti ai migranti non è solo un pericoloso precedente, ma l'ennesima conferma di un problema che sta a monte: il guazzabuglio normativo che apre a qualsiasi interpretazione
A scanso di ogni equivoco e gioco di parole, dichiaro di non condividere una sola parola della sentenza della Cassazione che condanna l’Italia… l’Italia, e non una singola persona… a pagare un risarcimento per aver trattenuto su nave dei clandestini. Se, infatti, vige da sempre la legge non scritta del mare, che impone di salvare i naufraghi, nessuna legge, né scritta né consuetudinaria, dice che bisogna sistemarli quando e dove e come vogliono loro. Conclusione, l’Italia, cioè io che scrivo e chi mi legge, dobbiamo pagare per aver salvato.
Non so cosa puntualizzare per essere più chiaro, e prendere dalla sentenza distanze di millenni luce. Ah, no, aggiungo che la Cassazione ha, spero solo potenzialmente, creato un pericolosissimo precedente, di cui potrebbe approfittare ogni avvocatucolo di paese scarso di clienti, andando a cercarsene tra gli sbarcati in vena di grasso risarcimento per non essere trattati a loro piacere. Detto questo, e sempre sperando non essere artatamente taroccato, dichiaro che la Cassazione deve aver obbedito (magari troppo volentieri!) a qualche legge; legge, dico, o comma, codicillo, grida, interpretazione, editto, sentenza, trattato… una carta qualsiasi delle infinite che vagano per la Fatal Penisola e fuori, e sono a decine e decine.
E mica solo a proposito di clandestini: pensate, se volete ridere, alle luci anabbaglianti obbligatorie delle auto, che è una legge, e dura lex, però viene applicata o meno a fantasia, e ciò accade palesemente anche alle auto delle forze dell’ordine. Ecco un banale caso di come in Italia valga il dantesco “le leggi son, ma chi puon mano ad esse?”; e risposta attuale: chi vuole, e se vuole! Ma è peggio, e pericoloso per tutti e per ciascuno, che, in presenza di quest’oceano di leggi, ogni tanto qualcuno se ne ricordi una qualsiasi prima del tutto obliata, e ne pretenda l’applicazione come l’avesse scritta fresca fresca Dracone; anzi Zaleuco di Locri d’Italia, in cui però le leggi rimasero immutate per duecento anni; e in Italia cambiano con il vento.
A mio modesto sentire, dunque, assieme a riformare i giudici, bisogna sforbiciare tutta la Babele di norme e leggi e annessi. Il Codice Rocco del 1930 contava 734 reati, e ognuno ottimamente definito e in modo chiaro e semplice e breve. Oggi i reati e delitti e crimini si contano alle stelle; e spesso la loro definizione è tutt’altro che univoca, anzi è soggetta a contorcimenti ideologici quando non immaginari, e a una specie di giurisprudenza creativa; e con abbondanti spazi di soggettività. Succede così che si possa essere prosciolti a Catania e processati a Palermo, per lo stesso identico capo di presunta imputazione.
Anche gli imperatori Teodosio II (408-50) e il più noto Giustiniano (482-527) si trovarono di fronte a un problema simile, sebbene il loro apparato legislativo fosse quello antichissimo di Roma; e non esitarono a tagliare “il troppo e il vano”, come canta Dante. Attenti, non a modificare, ma a cancellare. Secondo me, urge anche nel 2025. Lo stesso per una vagonata di trattati e convenzioni internazionali, nei decenni firmati senza badare alle conseguenze, o anche solo per fare scena; e che affermano principi vaghi e generici e in apparenza innocui, ma che sono, come certi virus, dormienti e in agguato, e potrebbero sempre svegliarsi ed essere a caso, o non a caso, adoperati.
Un esempio? L’articolo 10 della Costituzione, il quale impone, udite, di accogliere “lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”. Chiaro, no? Macché: quando l’hanno scritto, nel 1946, “lo straniero” cui si pensava era qualche dissidente sovietico, o, più probabilmente, un italiano dell’Adriatico oppresso dai comunisti titini; e non certo un abitante dell’Africa, allora tutta in dominio coloniale di Gran Bretagna, Francia etc, e perciò era privo di libertà democratiche, ma che in nessun modo avrebbe mai ritenuto di poter venire in Italia e in Europa: un’Europa, nel 1946, ancora macerie fumanti di guerra. E invece c’è chi vorrebbe applicare quell’articolo a centinaia di migliaia di stranieri in blocco. Assurdo, ma, secondo qualcuno, ci sarebbe scritto.
Dopo aver eliminato una gran parte delle norme, e denunziato trattati obsoleti, è proprio sullo scritto che bisogna agire; perché se è vero che “ignorantia legis non excusat”, è ancora più vero che le leggi devono essere notificate, e in modo che chiunque le comprenda senza cavilli, e senza dover ricorrere a un avvocato che ne spieghi i sottintesi. Bisogna tradurre le leggi dall’avvocatese al normale italiano.
A proposito di avvocati, pare che a Napoli ci siano più cassazionisti dell’intera Francia; ed ecco perché finisce ogni bagattella in Cassazione; ed ecco perché la Cassazione è diventata, indebitamente ed erroneamente, “terzo grado di giudizio”. Mica solo a Napoli; ma c’è una tendenza alla lite in tribunale, che sovraccarica inutilmente e pesantemente anche i magistrati, Cassazione inclusa.
La Babele giudiziaria è dunque molto più estesa del solo fatto tecnico. E già che appena succede qualcosa, e il fatto viene amplificato dai media, ecco il coro di “ci vuole una legge”, e la fanno subito, spesso per poi archiviarla. Ed è questa la spiegazione del celebre “corruptissima re publica plurimae leges”, di Tacito: quando le leggi si fanno caso per caso, “in singulos”, e non più “in commune”, cioè di valore universale e univoco come una legge dev’essere. Aggiungete, Vico alla mano, che “il vulgo per ogni particulare vuole una legge”, proprio, spiega il grande filosofo, per incapacità del volgo di capire l’universale. Volgo? Plebe in alto, plebe in basso, avverte Nietzsche. Sarei curioso di sapere quanti operatori hanno studiato filosofia del diritto, e sostenuto l’esame.
Chi deve mettere mano all’anarchia tribunalizia? Una categoria umana oggi rara, rarissima: i giureconsulti, i genuini conoscitori del diritto e delle sue conseguenze. Senza di loro, senza la filosofia (filosofia, non ideologia!) per applicare meccanicamente (insegnano i padri latini che Summum ius, summa iniuria), e alla lettera una leggina qualsiasi, basta l’alfabetizzazione.