
Il punto di vista
Restituire centralità agli insegnanti per ridare dignità alla scuola: parola di prof
Perdita di prestigio del ruolo, diktat ideologici che hanno portato a un livellamento verso il basso della didattica, moltiplicazione della burocrazia non hanno fatto il bene dei ragazzi e hanno reso carta straccia il famoso "pezzo di carta"
Premessa storica. Negli anni 1960-80 un “pezzo di carta” assicurava l’obiettivo di tantissimi e delle loro famiglie: il “posto”; ma i posti di qualsiasi genere erano, allora, più numerosi dei postulanti, e pochi avevano il pezzo di carta. Soluzione? Aumentare i pezzi di carta. Banale, vero? Nel 1969, l’anno dopo dei miei ancora gentiliani cimenti, inventarono gli esami con due (02) materie, scelta una dal candidato… e l’altra pure. Promossi, il 98,9%. Nel 1974, liberalizzazione di iscrizione all’università con qualsiasi diploma a qualsiasi facoltà. E fu così che il pezzo di carta diploma divenne anche pezzo di carta laurea.
Per poter distribuire a mani piene i suddetti pezzi di carta, serviva anche un’ideologia. Eh, per cosa non trovavano un’ideologia? Per la scuola, dopo attività bazzecole come annientare la mafia e assicurare la pace nel mondo (con soldini per stuoli di approfittatori!), in ultimo escogitarono l’inclusione. Cos’è l’inclusione, in termini tecnici? È che, per fare un esempio della mia fu professione, se tutta la classe non sa perfettamente la Prima declinazione latina, non si può passare alla seconda; e siccome le declinazioni sono cinque, se ne parla l’anno scolastico che viene: alla lettera, e riferisco casi che ho sotto gli occhi. Del greco, meglio non parlare. Figuratevi la trigonometria e la chimica organica.
Nel 2025, il diploma, un qualsiasi diploma, che l’hanno tutti, come si raccontò del famoso e buffo “fo todos barones”; solo che non ci sono più i posti degli anni 1970, quindi il diploma vale, in termini spicci e concreti, meno del costo della cornice, se ancora lo si appende in salotto. È ora dunque di ripensare radicalmente il percorso scolastico, a cominciare dalla sua finalità, che non può più essere una pergamena o surrogato. Urge una scuola rinnovata in contenuti e argomenti e metodo.
Per riformare la scuola, bisogna cominciare dal noumeno, dalla centralità… e mica la demagogica “centralità dello studente”, il quale nella scuola è transeunte, anzi non vede l’ora di transitare; dico la centralità gentiliana dell’insegnante. Vero che nei suddetti anni 1970 la condizione di prof era molto ambita, e non dico per lo stipendio, mai ricco, ma per la certezza della carriera e della stabilità degli istituti.
Oggi le scuole rischiano ogni anno riduzione di classi, e accorpamenti (spesso meramente topografici) quando non la chiusura del tutto; e lo stipendio, in euro, è molto più magro in proporzione ai tempi. Ad aggravare, ecco la perdita di quel compenso morale che era il prestigio culturale e sociale; e il peso di un mucchio di nevrotizzanti inutili scartoffie, sia pure elettroniche, che il prof svogliatamente compila e non leggerà mai nessuno; e che sottraggono energie alla finalità della scuola, che è culturale ed educativa e non burocratica. Sono tutte ruggini accumulatesi nel tempo, e riformicchie estemporaneamente inventate da ministri di fugaci governi, in vena di un venticello di titolo sui giornali.
E ricordiamoci che educare significa far crescere; e siccome una citazione classica ci sta sempre bene, tanto più se parliamo di scuola, poter dire all’allievo, con Orazio, “Nabis sine cortice”: dovrai imparare a nuotare senza salvagente, a fare da te. O, per dirla con Leonardo, “Tristo è quel discepolo lo quale non supera il maestro”. La riforma però dev’essere organica e globale, dall’asilo all’università e specializzazione. E urge mirare alla qualità, e non più al minimo indispensabile, a volte nemmeno quello. E l’inclusione? Ci sono molti modi per offrire spazi di vita a chiunque; e, con un poco di sforzo, a tutti; a cominciare dall’evidenza che è meglio un bravo elettricista che un pessimo ingegnere senza progetti, e se li ha gli crollano.
A beneficio dei pedagogisti della domenica, facciamo notare che tante sono le varietà dell’intelligenza, e tante le vocazioni naturali. “Diversamente per diversi offici”, insegna padre Dante. E lo dico soprattutto da meridionale, in un Meridione dove incontrare un filosofo è sempre stato più facile che reperire un idraulico. Serve una commissione… ops, stavo per dire una banalità. Mi correggo: una commissione in cui a ogni commissario sia assegnato un tempo d’intervento di quindici minuti, novecento secondi esatti. Per chi ha cose serie da dire, sono anche assai; chi vorrebbe sproloquiare in palingenetico pedagogichese, non gli bastano tre ore, e farebbe danni.