CERCA SUL SECOLO D'ITALIA

intervista a Davide Desario su Storie Bastarde

L'intervista

Storie Bastarde, Ostia anni ’70: tra Pasolini e Cerami, i ricordi di Davide Desario, gli incubi di ieri e il sogno del modello Caivano di oggi

Il libro del direttore dell'Adnkronos propone con veemenza, tra nostalgia e auspici, una riflessione sulle periferie di ieri e di sempre. E tra ricordi privati e storie universali, l'omicidio Pasolini e l'ascesa della Banda della Magliana, ripercorre una storia italiana fatta di perone e personaggi che oggi guarda con fiducia a prospettive applicabili a tante realtà urbane del Belpaese

Interviste - di Priscilla Del Ninno - 9 Marzo 2025 alle 07:00

A metà strada tra il Pasolini di Ragazzi di vita e Fattacci di Vincenzo Cerami, in un gioco di continuo rimando tra personalità eccentriche e mitologie stravolte dell’Italia provinciale di ieri e di oggi, in quel dell’estrema periferia di Roma, far west di marane, baracche, palazzoni in riva al mare, dove il confine tra vita e malavita è sottilissimo, Davide Desario, cronista di lungo corso che si è fatto le ossa al Messaggero occupandosi di cronaca nera, politica e attualità, fino a diventare caporedattore responsabile del sito web del quotidiano, che ha guidato per cinque anni.

E poi direttore del quotidiano Leggo. E da settembre 2023 chiamato a dirigere l’agenzia di stampa Adnkronos. Un professionista dell’informazione e un appassionato lettore della realtà sociale, che racconta nella sua ultima fatica editoriale, Storie bastarde, la storia di un gruppo di ragazzini che vive lì dove è stato ucciso Pier Paolo Pasolini. Che torna ad attraversare la pineta dove capita di giocare con il cadavere di un morto impiccato. L’incrocio con quei “bravi ragazzi” della Banda della Magliana. E  la primula rossa delle Br Barbara Balzerani.

“Storie Bastarde”, Ostia e la periferia d’Italia nei ricordi di Davide Desario

Insomma, Desario descrive in una sorta di diario metropolitano, un luogo metafisico che potrebbe essere un posto qualunque della periferia italiana, come oggi Caivano, Tor Bella Monaca, Quarto Oggiaro, Scampia o lo Zen di Palermo. Una terra dove sopravvivere tra speranza e frustrazione è un’impresa quotidiana. E sullo sfondo di questo ritratto senza età e senza punti di riferimenti geografici assodati o preconcetti, ripercorre le orma della cronaca di un epoca senza tempo, né tetto né legge, fatta di risse, pestaggi tra rossi e neri, fionde e motorini rubati.

Scommesse e rivalità tra bande nemiche di una gioventù che, tra speranza e nessuna possibilità di riscatto, cerca un futuro tra l’inferno della droga, i morti ammazzati e destini infami. Sfide innocenti e giochi sul filo di lana della sopravvivenza: una umanità “de lama e de fero” che tra metropoli e Strapaese, ci conduce nel cuore di un’infanzia e di un’adolescenza che parlano il linguaggio di una veloce crescita che porta a una consapevolezza matura, malinconica e aspra allo stesso tempo.

Tra Pasolini e Cerami, guardando all’Italia di ieri come alla periferie di oggi

Quella ripercorsa in Storie bastarde che nel prendere consapevolezza di come eravamo, ci aiuta a capire chi siamo, mentre sullo sfondo scorre la cronaca dell’epoca.”Come sfogliare un album di foto capace di risvegliare emozioni potenti”, scrive Francesca Fagnani, che firma la prefazione di questo libro, e ci porta per mano nel vivo di una racconto che tra ricordi e considerazioni attuali, lascia il segno – non solo letterario – di un percorso che trascende spazio e tempo della narrazione. Di tutto questo, e molto di più, abbiamo parlato con l’autore del libro, Davide Desario (che presenterà il volume, lunedì 10 marzo alle 18, al Piccolo Teatro Grassi di Milano insieme a Francesca Nanni, Franco Gabrielli e Sabrina Scampini).

Davide Desario, autore di “Storie Bastarde” con la prefazione di Francesca Fagnani

Dunque, lei racconta queste 27 storie ambientate nella Ostia degli anni ’70 e ’80, rilette attraverso la lente degli occhi di un bambino pronto al salto nell’adolescenza. Intanto le chiedo, cosa l’ha spinta a condividere questi ricordi e qual era l’obiettivo del progetto editoriale?

Per troppo tempo la fiction e la televisione hanno raccontato le storie di grandi eroi positivi, poliziotti o magistrati che fossero. Oppure quelle di eroi negativi: la Banda della Magliana, Vallanzasca, Suburra e via dicendo, racconti in cui le persone “normali” figurano solo sfondo, quasi sfocate. Io invece ho voluto invertire la messa in fuoco: mettere in luce i condomini, i ragazzi, le famiglie, la scuola, che sono i veri “eroi” del quotidiano.

Bene, questo mi dà l’aggancio per chiederle un’altra cosa: molti hanno paragonato “Storie Bastarde” a una sceneggiatura cinematografica. Bene: ha mai considerato di adattare le sue storie del libro per il cinema o per una serie tv?  Ha pensato, all’atto della scrittura, a stilare un linguaggio che potesse in qualche modo poi essere prodromico a una stesura cinematografica o televisiva?

Non ci ho pensato prima, perché lo stile è decisamente quello tipico del cronista. Dopodiché negli anni c’è stata una trasposizione teatrale, non mia – dovuta a un attore che si chiama Fabio avaro e al regista Ariele Vincenti – che hanno realizzato una trasposizione di Storie Bastarde che mi ha emozionato e a cui il pubblico ha reagito molto bene. Adesso, con questa nuova edizione che ha avuto più clamore della prima edizione, se ne sta parlando. Vediamo…

Volevo chiederle qualcosa sulla prefazione di Francesca Fagnani: come è nata la collaborazione con lei, e cosa aggiunge il suo contributo al suo libro?

Con Francesca ci conosciamo da tempo, e so che lei oggi è nota soprattutto per la sua trasmissione Belve, ma il suo lavoro comincia tanto tempo fa in veste di cronista, e di conoscitrice sul campo di vicende romane, dunque mi piaceva il suo tratto di conoscitrice di vicende romane (vedi il suo libro Mala. Roma criminale) e mi piaceva il suo punto di vista e il suo tratto per fare una prefazione di questo libro.  Detto ciò, tra prototipi e precedenti illustri, posso dire che Un borghese piccolo piccolo di Vincenzo Cerami è uno dei miei testi preferiti, che ho consumato a furia di leggere sin da quando ero piccolo. Cosi come Niente di nuovo sul fronte occidentale di Remarque. ecco sono questi i miei capisaldi.

Ecco allora, venendo al suo libro, lei descrive la vita di ragazzi cresciuti in una periferia romana segnata da eventi storici come la morte di Pasolini e l’ascesa della Banda della Magliana. In che modo questi eventi hanno influenzato la sua giovinezza e quella dei suoi coetanei e la storia civile e politica del Paese tutto?

Sono episodi che hanno lasciato il segno su Ostia, narrata sempre come la periferia pasoliniana. Come una borgata animata da ragazzi difficili. Una realtà che faceva riferimento sempre a un marchio di fabbrica stampato sulla pelle di chi la viveva come un tatuaggio. Un segno indelebile che nessuno riusciva a levarsi di dosso. Ostia stessa – e come lei tante altre realtà – che non a caso ha spinto molti a scrivermi dopo l’uscita del libro dalle più svariate destinazioni (da Genova a Lecce. Fino a Barletta e Palermo). Perché in fondo, se spogli il libro e lo decontestualizzi da ambienti e vicende peculiari, restano i concetti di amicizia. Solidarietà di gruppo. Di famiglia. Amore. Della tragedia della droga. E del rapporto col quartiere e con la criminalità. Storie senza tempo e senza luogo…

Allora come influivano le ideologie politiche dell’epoca sulle quotidianità dei giovani vissuti in quei contesti? 

La politica in quegli anni, in cui c’è stata una realtà di rottura dirompente, io vedevo cosa stava accadendo, ma vivevo la situazione da “osservatore esterno”, in un Paese che metteva ipocritamente la spazzatura sotto il tappeto, mentre intere generazioni venivano falcidiate. In più c’è stato l’errore di non riuscire ad amalgamare le diversità, che invece si è pensato di ghettizzare…

A proposito di questo, nel contesto attuale, le periferie italiane affrontano sfide diverse rispetto al passato. Quali paralleli vede tra le problematiche descritte nel suo libro e le odierne questioni politiche e sociali nelle periferie urbane?

Io penso che prima di quello che abbiamo visto realizzare con il “modello Caivano” nelle periferie era stato fatto poco o niente, se non operazioni di facciata: si era pensato a mettere la ciliegina sulla torta, dove però mancava la torta. Ora però, dall’impegno che ho visto finalmente profuso su Caivano, tutto si è mosso e molto è cambiato. E se si è fatto lì, si può fare allo Zen di Palermo, a San Basilio e Tor Bella Monaca a Roma. Si può fare: perché si è voluto e si è saputo farlo. Perché non sono non cose cadute dall’alto e basta, ma volute e realizzate, e in quanto tale hanno una ricaduta sociale reale e concreta. Caivano è la prova che si vuole e si sa fare, si fa. Ora bisogna replicare quel modello.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

di Priscilla Del Ninno - 9 Marzo 2025