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Tra ghiacci e dazi

Trump cambia tono con Carney: è disgelo con il Canada, ma con la Groenlandia resta il “grande freddo”

"Ho sempre amato il Canada" dice Trump dopo la telefonata con Carney. "Abbiamo avuto un’ottima conversazione. Ci incontreremo dopo le elezioni"

Esteri - di Alice Carrazza - 29 Marzo 2025 alle 11:32

«Alla fine avremo un’ottima relazione con il Canada e con molti altri Paesi». Parola di Donald Trump, che nella notte dallo Studio Ovale ha silenziato i presagi più cupi e sorpreso chi dava per scontata la tempesta. La telefonata con il nuovo premier canadese è stata, a detta sua, «estremamente produttiva». E Mark Carney rincara: «Un confronto molto costruttivo. Trump ha rispettato la sovranità del Canada».

Il disgelo con il Canada è cominciato

Sì, proprio Trump, che in passato ha accennato all’idea provocatoria di accogliere il Canada come 51^ Stato americano, oggi si mostra disponibile ad aprire un nuovo capitolo con l’amico del Nord. Il disgelo – almeno sul versante canadese – è cominciato. Ma più a est, sul ghiaccio artico della Groenlandia, il presidente deve ancora rompere il ghiaccio.

Da “Governatore Trudeau” a “Mr Carney”: Trump cambia registro

Il cambio di tono di Trump è netto. Solo qualche mese fa, Justin Trudeau veniva declassato dal tycoon a “Governatore” e bersagliato con frecciate e tariffe. Oggi, Carney invece riceve telefonate distensive e aperture a una cooperazione. Carney ha annunciato che dopo le elezioni federali del 28 aprile si avvieranno «negoziati approfonditi su una nuova relazione economica e di sicurezza tra due nazioni sovrane». Toni misurati, ma il clima appare diverso: «Cordiale, sostanziale, orientato al progresso», ha commentato il premier canadese.

Nonostante il dialogo, i nodi commerciali restano: Trump non ha ancora ritirato la tariffa del 25% sulle automobili, che dovrebbe entrare in vigore il 2 aprile. Carney ha già anticipato una possibile risposta con «dazi di ritorsione con massimo impatto». Ma il fatto che si parli – e non si litighi – è già un segnale.

In Groenlandia, invece, il gelo resta

Se con Ottawa si apre una fase di distensione, in Groenlandia il gelo resta. Il vicepresidente J.D. Vance è atterrato a Pituffik con un messaggio diretto: «Quando il presidente dice “Dobbiamo avere la Groenlandia”, sta dicendo che quest’isola non è al sicuro». L’interesse per l’isola artica si riaffaccia sotto il cappello della sicurezza nazionale. La Danimarca, dal canto suo, “non apprezza il tono usato” dal vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance, che ha fortemente criticato la presunta inazione danese durante la visita delle polemiche in Groenlandia. A dichiararlo è stato oggi il ministro degli Esteri danese.

Vance accusa la Danimarca – alleato e membro della Nato – di non fare abbastanza per contrastare «incursioni molto aggressive provenienti da Russia, Cina e altri Paesi». E spiega che in «molti la vogliono» la terra dei ghiacci, in «molti stanno cercando di accaparrarsela», ma gli americani sono i soli al mondo a rispettarla davvero. La Groenlandia, sostiene, è «estremamente vulnerabile», e il popolo groenlandese è «razionale e sensato» e «capirà che una partnership con gli Stati Uniti è l’unica via».

“Yankees andate via”: il rifiuto groenlandese

Peccato che i groenlandesi non sembrino della stessa opinione. Solo il 6% è favorevole a diventare parte degli Stati Uniti. A Nuuk sono spuntate bandiere, cartelli con su scritto «Make America Go Away», ossia “Che l’America sparisca”, e manifestazioni come mai viste prima. Il primo ministro Jens-Frederik Nielsen ha bollato la visita americana come un «segno di mancanza di rispetto». E i danesi, per una volta uniti, hanno risposto seccati.

Dall’Europa, la premier danese Mette Frederiksen ha rispedito al mittente le accuse: «La descrizione che il vicepresidente fa della Danimarca non è corretta». Il ministro Rasmussen ammette qualche colpa, ma rilancia: «Anche gli americani non hanno fatto abbastanza». Oggi a Pituffik ci sono 200 soldati americani; durante la Guerra Fredda erano 10.000 con 17 basi militari.

Due Nord, due strategie

Un doppio binario dunque: uno con Ottawa e uno con Nuuk. Due Nord, due strategie. Una diplomatica, l’altra muscolare. E sempre con lo spettro dello scontro politico sullo sfondo. In Canada, Pierre Poilievre – leader dei Conservatori – non si fida della “tregua”: «Trump vuole tenere i Liberali al potere. Gli sono stati molto utili». In Groenlandia, invece, la politica interna è tutta un argine al trumpismo: «Il nostro futuro è la nostra terra», recitano i manifesti.

“Abbiamo bisogno della Groenlandia”: la nuova Dottrina Trump

Trump ha detto che gli Stati Uniti «non si affideranno alla Danimarca né a nessun altro» per garantire la sicurezza artica. La posta in gioco non è solo geopolitica, ma anche mineraria: terre rare, petrolio, gas. La Groenlandia è vicina, ricca e fragile. Ed è proprio questo che la rende così desiderabile agli occhi di Washington, che nutre interesse sullo Stato dal 1868 e l’ultimo sforzo nell’acquistarla fu nel 1946.

«Abbiamo bisogno della Groenlandia. È essenziale per la sicurezza internazionale. Non è una questione di “possiamo farne a meno?” Non possiamo», ha sentenziato il presidente.

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di Alice Carrazza - 29 Marzo 2025