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“Antico presente. Viaggio nel sacro vivente”. L’itinerario sapienziale di Alessandro Giuli fra le Idee originarie

Il libro

“Antico presente. Viaggio nel sacro vivente”. L’itinerario sapienziale di Alessandro Giuli fra le Idee originarie

Nel suo nuovo libro il ministro della Cultura presenta la sua "geografia sacra": le mappe tracciate dall’antichissima sapienza romana e italica, europea e mediterranea

Cultura - di Sandro Consolato - 15 Aprile 2025 alle 10:51

Leggendo il nuovo libro di Alessandro Giuli, Antico presente. Viaggio nel sacro vivente (Baldini & Castoldi, Milano 2025, pp. 227, Euro 19,00), raccolta di alcuni dei suoi articoli a carattere culturale pubblicati su “Il Foglio” di Giuliano Ferrara tra il 2004 e il 2016, sorge spontaneo il pensiero che l’attuale ministro della Cultura fosse allora un antichista mistico (ma forse sarebbe meglio dire “misterico”) prestato al giornalismo, e ora, da giornalista prestato alla politica (all’alta politica, considerando la prestigiosa carica istituzionale che dal settembre 2024 ricopre nel Governo di Giorgia Meloni), voglia ricordare apertis verbis quali siano le sue più profonde passioni, attraverso delle sue vecchie (ma deterse da alcune scorie temporali) pagine che ben spiegano l’entusiasmo con cui oggi parla dell’antica Italia e di Roma ai colleghi di tutto il mondo riuniti al G7 a Napoli o con cui accorre a visionare e commentare il nostro passato che torna alla luce, “dalla clamorosa scoperta dei bronzi etrusco-romani di San Casciano alla riemersione della dea Voltumna dal lago di Bolsena” (p. 20).

Un lungo viaggio nella sapienza

Nel Giuli di questo libro, che si avvale della prefazione di un illustre archeologo come Andrea Carandini, non si avrà difficoltà a riconoscere lo stesso ideatore, e “attore”, del programma notturno di Rai Due Vitalia (stagioni 2021 e 2022), il tema essendo in fondo lo stesso (anche se l’Autore, introducendo il suo libro, non fa cenno a quella sua originale esperienza televisiva), ovvero, come ci viene spiegato, “la possibilità d’un viaggio carsico lungo strade e sentieri poco battuti; quasi un marciare sul posto per accedere in profondità a itinerari ulteriori tracciati da un’antichissima sapienza romana e italica, europea e mediterranea, la cui polla sorgiva non hai mai cessato di sgorgare. Qualcosa di esoterico, forse, nulla d’indicibile” (p. 20).

Geograficamente, e nel senso di una “geografia sacra”, questo libro è per lo più dedicato all’Italia centrale, in conformità alle idee “ombelicali” sulla nostra civiltà, plurale e unitaria al contempo, che Giuli coltiva, ma, sulla base di suoi viaggi al di fuori della Penisola, si estende ad altri luoghi d’Europa, come l’Isola di Lesbo “ombelico equoreo della Troade doviziosa” (p. 181), o la Bulgaria delle festività della Baba Marta, “vecchia fiabesca signora cangiante” che “può diventare giovanissima in un attimo, purché lo voglia” e in cui si intravede la “versione balcanica dell’antica Nerio/a Martis dei Sabini” (p. 191), o ancora nella Lusitania dei dionisiaci sopravviventi Caretos, mascherati parenti prossimi dei Mamuthones sardi e dei Kukeri traci, quindi ultimi eredi dei mitici Cureti di Creta, inviati dalla Magna Mater Cibele a salvare l’esistenza di Giove fanciullo.

La Roma mitistorica

L’itinerario italiano comincia, ça va sans dire, dalla Roma mitistorica delle origini, quella dei Gemelli e della Lupa: in compagnia di Carandini (non è esplicitato, ma siamo nel 2006, in quello che fu forse il primo incontro tra l’Autore e il Prefatore di questo libro) si esplorano i luoghi della età regia dove “l’anima di Roma a volte si manifesta attraverso uomini e scoperte che hanno il colore azzurro dell’augurio: quod bonum faustumque sit” (p. 33). Tra gli altri luoghi dell’Urbe, viene scelta quella che Giuli chiama la “Casa dei maghi” (p. 35), ovvero la straordinaria Basilica sotterranea neo-pitagorica di Porta Maggiore scoperta nel 1917, e che si rivela, con le sue allegorie iniziatiche, “luogo d’incontro tra essere e divenire, una sotterranea Delfi romana in cui Apollo e Dioniso convivono in fraterna sodalità” (p. 41). Da Roma, ci vediamo poi trasportati, come si è anticipato, a luoghi onfalici e fatidici del Centro Italia, come il Lago di Cotilia del Reatino, patria degli Aborigines, e quell’Amatrice che fu devastata dal violento terremoto del 2016 e che ricorda all’Autore miti, tradizioni, studi su un’Italia antichissima la cui civiltà fu sconvolta da grandi movimenti tellurici, ponendo altresì il tema della violazione dei patti atavici tra l’uomo e le forze numinose che stanno dietro la natura visibile.

Le Idee “originarie”

Dovrei anche dire di Bolsena etrusca, dei Monti Sibillini e dei lupi da proteggere, della Puglia violentemente segnata dal carducciano “Annibal diro”, ma è d’obbligo imporsi una misura.  E poi, Giuli non ci parla solo di luoghi, ma anche di Idee: in primis quella del Bello, attuatasi allorché le Divinità, non più immediatamente percepibili, furono dall’arte dei nostri antichi trasfuse “nel legno scolpito (accumulatore solare), nel marmo (accumulatore di luce), nel bronzo (accumulatore di fuoco), affinché l’armonia del Gran Tutto trovasse luoghi prescelti ove manifestarsi” (p. 45). E infine, pure degli uomini: Cesare, tra tutti, che riconduce a Romolo, giacché le ventitré coltellate inflittegli dai congiurati “equivalgono all’apoteosi fulgurale o per smembramento rituale inflitta a Romolo-Quirino dai suoi senatori” (p. 77). Il pascoliano “antico sempre nuovo” appare peraltro in opere come la Dea Roma del Vittoriano, di cui si ricordano l’autore, lo scultore bresciano Angelo Zanelli, e i singolari riti di consacrazione che si accompagnarono al completamento dell’Altare del Milite Ignoto proprio cento anni fa.

Nel libro i nomi di nostri celebri archeologi, da Andrea Carandini a Giovanni Colonna e Mario Torelli, e di storici delle religioni come Mircea Eliade, George Dumézil e Giulia Piccaluga (ricordo che già da diversi anni Giuli è membro della Società Italiana di Storia delle Religioni, fondata nel 1951 dal grande Raffaele Pettazzoni), si mescolano con quelli di antichisti outsiders ed esoteristi che rivelano tanto lontane e mai dismesse passioni quanto l’eclettismo del nostro ministro della Cultura: Evelino Leonardi, Enea Lanari, Ruggero Musmeci Ferrari Bravo e perfino un Giuliano Kremmerz. Un mosaico originale, con una sua interna coerenza, anche se non manca di lasciare delle perplessità nel Carandini della prefazione. Quest’ultima va letta peraltro come il più recente momento di un dialogo che in illo tempore fu tra un giornalista e un archeologo, e ora tra un archeologo e un ministro (il titolo del breve ma denso testo del celebre studioso non a caso è: Al minister il magister, per il bene della Repubblica): si tengano presenti la lettera aperta di Carandini a Giuli apparsa sul Corriere della Sera del 10 novembre 2024 e la risposta data dal neo-ministro, ospitata dallo stesso quotidiano il giorno seguente.

Il dialogo con Carandini

Il magister non manca di segnare, pur se con rispettosa simpatia, le sue distanze rispetto all’approccio all’antichità del minister, gli unici punti di convergenza sembrando essere l’interesse e l’amore per la salvaguardia dei nostri beni archeologici e il giusto riconoscimento da dare, nell’esplorazione dei mondi antichi, alle tradizioni e alle idee degli uomini che quei mondi abitavano. Dal punto di vista politico-ideologico, va rilevato il finale invito di Carandini a Giuli “a superare il suo ‘conservatorismo tradizionalista’, avvicinandosi a un ‘conservatorismo liberale’” (p. 18).  Ma qui – e penso anche all’invito carandiniano a fare a meno di un Evola (che in verità oggi non ha più molto peso nel pensiero di Giuli, e questo non per una sorta di perbenismo istituzionale, come ha supposto qualcuno, bensì per la preferenza andata già da tempo ad altri auctores) – credo ci sia uno dei tanti fraintendimenti (ve ne sono stati e ve ne sono provenienti sia da destra sia da sinistra) su stile e idee di chi la Meloni ha voluto al Collegio Romano. Credo infatti di poter dire che il démodé Alessandro Giuli è un uomo di un altro mondo nel nostro mondo. E quell’altro mondo – ora non mi riferisco al passato remoto – non è né quello del neofascismo in cui certi commentatori di sinistra hanno voluto situarlo per via di sue passate esperienze giovanili, né quello di una destra troppo poco destra, secondo alcuni altri critici che si vorrebbero di “vera” destra. L’altro mondo (o l’altro tempo) di Giuli a chi scrive sembra quello dell’Italia del primissimo Novecento: quella del ministro Baccelli che inventa la festa degli alberi e promuove gli scavi del Foro, quella di Sonnino che tiene la Divina Commedia sul tavolo da lavoro, quella di d’Annunzio che rievoca i Cavalli dei Dioscuri annuncianti la Vittoria di Roma, quella di Giacomo Boni che scopre le vestigia di Roma prisca e dona rami d’alloro purificatorio ai governanti. Che poi è pure l’Italia che vince una guerra mondiale, mantenendo istituzioni liberal-democratiche. Per chi sa leggere, tra le pieghe di questo libro, vecchio e nuovo ad un tempo, ci sta scritto anche questo.

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di Sandro Consolato - 15 Aprile 2025