
Il triste teatrino
Che pena gli attacchi sciacalli della sinistra ai figli dei politici “nemici”: il caso Antoniozzi è solo l’ultimo…
In principio fu Attilio Piccioni, il primo Abramo ingiustamente messo in croce per le colpe (che non aveva) del figlio Piero, l’Isacco incolpevole messo alla berlina e accusato ingiustamente di avere ucciso Wilma Montesi. Non parve vero all’allora Pci, nel periodo della guerra contro lo scudocrociato, di chiedere la testa dell’uomo più potente della Dc, quello che avrebbe dovuto prendere il posto di De Gasperi. E siccome il fuoco peggiore è quello che si ha in casa non dispiacque, per usare un eufemismo, ad Amintore Fanfani di farsi fuori un avversario interno così ingombrante. E così Piccioni dovette, a differenza di Abramo, rivolgere metaforicamente il coltello verso se stesso e lasciare la politica. Poi fu Donat Cattin, il politico autodidatta e illuminato, sempre della balena bianca, alle prese con il figlio brigatista. In quel caso a dimettersi dal Viminale fu Cossiga che lo avviso ‘ dell’imminente arresto. Il figlio dello storico ministro del lavoro morirà eroicamente, salvando una donna in autostrada. Ma anche lì il fuoco rosso non ebbe alcuna pietà, schierato appositamente per eseguire il plotone di esecuzione.
Così come ha fatto Majorino, l’ex deputato e attuale consigliere regionale del PD in Lombardia che ha pensato bene di avventarsi come uno sciacallo contro Alfredo Antoniozzi, vice capogruppo di Fratelli d’Italia, per l’arresto del giovane figlio. Come se fosse colpa di un padre, ancorché dirigente e parlamentare del partito di maggioranza relativa, avere assistito agli errori del figlio. O come se lo avesse protetto, dall’alto del suo ruolo. Perché questo vizio non si perde facilmente. Certo, se capita a qualche ex segretario loro rubare profumi in un negozio e farlo ripetutamente, pagando una piccola multa, sarà stato un atto di distrazione. Se capita a loro avere un fratello, un figlio, una sorella che commette un reato si tratta di privacy. Quella stessa privacy che calpestano quotidianamente. Majorino, del resto, con un fare lombrosiano, non aveva esitato di dire prima delle elezioni regionali che ” La Lombardia non è mica la Calabria” considerando gli abitanti di questa regione realmente dei minorati antropologicamente.
Ma il filo che parte da Piccioni e arriva sino ad Antoniozzi ci dice che tutti quei principi a cui abbiamo creduto, e cioè che la responsabilità penale fosse soggettiva, in politica non valgano. E non solo in politica. Perché Peppino Impastato, che dell’antimafia vera è stato un eroe antesignano, era figlio di mafioso e parente lontano di Don Tano Badalamenti, che poi lo fece fare a pezzetti. Questo processo semantico e barbaro, schifosamente antitetico a tutto ciò che fa parte di quei dettami liberali e cristiani, laici e condivisi, ha un valore relativo. Le colpe dei figli riguardano i padri, anche quando essi sono vittime di situazioni dolorose. Questa trivialità da Vecchio Testamento ha portato a crocifiggere i genitori di Filippo Turetta, l’assassino di Giulia Cecchettin, messi al pubblico ludibrio e intercettati solo perché, dopo l’omicidio, e avendo condannato in tutti i modi il figlio, non avevano smesso di fare i genitori. Una pura e ipocrita recita di farisei senza etica. Gente che oggi Cristo riprenderebbe a menate, come fece nel Tempio. Gente che dà buoni consigli perché non può dare il cattivo esempio.