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elogio dell’eroismo italiano

L'elmo di Scipio

Elogio dell’eroismo italiano: è la storia che zittisce la retorica antimilitarista

Non date retta alla vulgata di chi descrive le forze armate italiane come incapaci: anche nella sconfitta siamo stati artefici di grandi imprese

Cultura - di Ulderico Nisticò - 6 Aprile 2025 alle 07:00

Con l’aria che tira a scuola (ne scrivevo l’altra settimana), dubito che i fanciulli, e anche gli adulti, i quali tutti cantano le glorie di Scipio, abbiano una qualche idea che si tratti di Publio Cornelio Scipione Africano Maggiore, vincitore di Annibale a Zama, eccetera prima e dopo. Pazienza; mi preoccupa però il fatto che Mameli, autore del testo, abbia dovuto, nel 1849, ricorrere a trionfi del 202 a. C., venti secoli prima, per attribuire dei gloriosi e vincenti fatti bellici agli Italiani. È del resto in compagnia del Foscolo, che nei Sepolcri canta poeti e artisti come “uniche glorie”; e anche del Leopardi, eccetera.

Trascorsi ormai due secoli, è vezzo diffuso, e in filmacci, e oggi in bocca a guitte televisive, dichiarare, con vile sarcasmo, che gli Italiani sarebbero inetti alle imprese militari. E se chiedete notizie a uno qualsiasi, tv inclusa, della Prima guerra mondiale, subito in coro piangeranno Caporetto, ignorando sia tutto il resto dal 1915 al 1918, sia la conclusione positiva del conflitto. Occorrono puntualizzazioni.

Qui dovrei aprire una parentesi sui millenni dagli Orazi e Curiazi a Vittorio Veneto, ma ci vorrebbero chilometri di righe; e, molto rapidamente, cito le gesta di papa Giovanni X e re Berengario I contro i Saraceni del Garigliano; e la riconquista della Sicilia; e le vittorie di Pisa e Genova a Maiorca; e Legnano; e le glorie di Venezia a Lepanto e in Grecia; e i grandi capitani di ventura; e le non sempre lineari ma alla fine utili guerre dei Savoia. E anche il Meridione fece la sua parte, con una cintura difensiva dai Turchi così efficace che riesce difficile trovare fatti d’arme, segno di potente deterrenza.

Magari non tutti la pensano così, ma il primo esercito popolare organizzato della storia moderna è quello di Fabrizio Ruffo di Calabria contro i giacobini francesi e indigeni. Le guerre dell’Ottocento furono discutibili: la Seconda d’Indipendenza fu vinta con robusto aiuto francese; quella del 1866 mostro per terra l’inettitudine di Cialdini e Lamarmora, e soli successi quelli dell’onnipresente Garibaldi e dell’ex borbonico Pianell; per mare gareggiarono a chi faceva peggio il piemontese Persano e il napoletano Albini. Migliore esito la Libia e, dicevamo, la Prima mondiale. Mi fermo, perché occorre affrontare un argomento più spinoso e fonte di più ardenti polemiche, e anche di più aggrovigliate interpretazioni: la Seconda.

Intanto, sgombriamo un equivoco artatamente fatto girare, e a volte ripetuto: la guerra non iniziò, come qualcuno spaccia, l’8 settembre 1943, bensì il 10 giugno 1940, e contro Francia, Gran Bretagna, Grecia, Iugoslavia, poi URSS e USA; e nei tre anni e oltre in parola, in terra fu combattuta tra deserti africani e montagne balcaniche e nevi russe; in mare nel Mediterraneo e in Atlantico; e dovunque in cielo. Le cose andarono in modo ambivalente; alla fine, abbiamo perso, e il governo in carica l’8 settembre ’43 chiese l’armistizio, cioè si arrese, agli Angloamericani ormai giunti nel territorio nazionale. Abbiamo dunque perso, però, ammesso sia consolante, dovrei elencare quante guerre hanno perso tutti gli altri, e mi contento di Napoleone, quanto dire, annientato in Russia, a Lipsia, a Waterloo. E anche il Vietnam non scherza. Per gli ossessionati di Adua 1896, ricordo che gli Inglesi hanno perso tre guerre afghane, e i Russia la quarta e gli Americani recentemente la quinta; e in Indocina persero i Francesi, o, più esattamente, quelli che c’erano, cioè la Legione Straniera.

A proposito della sconfitta, la storiografia nazionalistica e postfascista ha sempre insistito sui tradimenti, ed è vero che essi sono ufficialmente attestati (caso rarissimo) dall’ignobile articolo 16 del trattato di pace, o meglio di resa del 1947; ma a spiegare gli insuccessi non bastano. Dovremmo studiare alcune debolezze di armamenti; e, soprattutto, del loro uso. La Marina, con ben 750 navi di ottima fattura, fece il suo dovere nella guerra dei trasporti; ma, come del resto nella Prima guerra, non ebbe quasi mai l’occasione di battersi come era stata concepita e strutturata: con il cannone; e le battaglie con il cannone erano ormai superate dalla storia e dalle tecnologie aereonavali. Alcuni aerei italiani erano di notevole qualità, ma si verificò un’irrazionale dispersione di tipi e quindi di risorse; e di organizzazione dell’uso, soggetta a burocrazia. Quanto alle grandi unità di truppe terrestri… ebbene, non erano molto “grandi”, anche a seguito di riforme poco sensate e volte all’appariscenza.

Detto questo, dichiariamo che, dal 1940 al ’43, milioni di militari italiani combatterono, e sempre con disciplina e valore. La sera del 3 novembre 1942, dal fronte di El Alamein, così si trasmise un fonogramma degno dell’epica dell’intera Iliade: “Carri nemici fatta irruzione sud Ariete. Ariete accerchiata. Carri Ariete combattono”. Del resto, a proposito di Iliade, anche Ettore venne ucciso, che, in proporzione ai tempi, era corazzato meglio dei nostri gloriosi carri medi, non del tutto adeguati; e qualche tempo dopo cadde anche Achille la cui blindatura era stata opera manuale del dio Efesto in persona.

Se poi vogliamo e dobbiamo narrare la storia tutta, con l’8 settembre non terminò la guerra, anzi ne iniziarono altre due e più, e contro stranieri e tra combattenti italiani. A otto decenni di tempo trascorso, sarebbe il caso di parlarne schiettamente; e forse lo faremo.
E non scordiamo che, dopo una rimozione anche psicologica e ideologica di quarant’anni, forze italiane hanno partecipato, e tuttora partecipano, a spedizioni militari in luoghi ardui e pericolosi: chi si ricorda di Timor Est quasi agli antipodi dell’Italia? Cosa fanno in prima linea gli Italiani… beh, ritengo, in questo momento, dovere patriottico osservare, a scanso di chiacchiere ostative, un rigoroso silenzio stampa. So e sappiamo però che i nostri stanno facendo ottima figura nelle faccende del dio Marte, del resto padre di Romolo.

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di Ulderico Nisticò - 6 Aprile 2025