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Françafrique, adieu: Macron ha fallito, l’ultima speranza per l’Africa è il piano Mattei di Meloni

La crisi africana

Françafrique, adieu: Macron ha fallito, l’ultima speranza per l’Africa è il piano Mattei di Meloni

Esteri - di Andrea Verde - 14 Aprile 2025 alle 12:31

Assistiamo oggi alla crisi irreversibile della Françafrique che descrive il sistema di relazioni politiche, economiche e militari tra la Francia, le ex colonie dell’Africa subsahariana e il Madagascar. La figura chiave del sistema fu Jacques Foccart, barone del gollismo, soprannominato “Monsieur Africa”. Fu lui che gestì la decolonizzazione e fu sempre lui che creò la “cellula africana” dell’Eliseo che diresse dal 1960 al 1974 e dal 1981 sino alla sua morte nel 1997. Il suo compito fu di mantenere l’influenza francese in Africa. La decolonizzazione, infatti, fu accompagnata da un formidabile gioco di prestigio. Riconobbe ufficialmente la sovranità politica dei nuovi stati, mantenendo al contempo il controllo sulle loro economie grazie ad un’arma tanto potente quanto invisibile: il sistema monetario con la creazione del franco delle colonie francesi d’Africa (CFA). L’acronimo si è evoluto ed oggi designa due valute: quella della “Comunità finanziaria africana” nell’Africa occidentale e quella della “Cooperazione finanziaria in Africa centrale”. Ma è sempre Parigi a decidere il valore di queste valute. Negli ultimi anni il franco CFA è diventato oggetto di lotte popolari. Consapevoli che le questioni economiche sono eminentemente politiche, i cittadini africani chiedono sempre più la piena sovranità monetaria.

Fanny Pigeaud, giornalista indipendente, e l’economista Ndongo Samba Sylla nel loro saggio “l’arma invisibile della Françafrique” spiegano come il franco CFA, istituito con l’obiettivo di modernizzare il sistema coloniale, sia sopravvissuto alle grandi turbolenze politiche ed economiche degli ultimi sette decenni senza subire cambiamenti significativi. La zona del franco, la più antica delle unioni monetarie esistenti, non deve tuttavia la sua longevità o la sua “resilienza” ai suoi risultati socioeconomici. Il sistema CFA non ha stimolato l’integrazione commerciale tra i suoi membri, né il loro sviluppo economico, né la loro attrattività economica.

Si fra presto a dire Françafrique

Al contrario, ha privato gli Stati interessati della possibilità di perseguire una politica monetaria autonoma, ha paralizzato le dinamiche produttive attraverso la limitazione dei crediti bancari, ha penalizzato la competitività di prezzo delle produzioni locali attraverso tassi di cambio strutturalmente sopravvalutati ed ha facilitato un salasso finanziario destabilizzante sul piano economico e costoso su quello sociale. Sulla stessa linea si posiziona l’economista ed ex ministro togolese Kako Nubukpo che incita i dirigenti africani ad abbandonare una certa postura “miserabilista” e a creare le condizioni per gli Stati Uniti d’Africa che dovrebbero puntare, in primis, all’autonomia monetaria. Macron, vista la malaparata, nel 2019 ha avviato il processo di revisione del franco CFA e, nel 2027, dovrebbe vedere la luce la nuova moneta comune della zona monetaria dell’Africa Occidentale, l’ECO. In base ai nuovi accordi, l’ECO resterà ancorato all’euro come il CFA mentre verrà eliminato l’obbligo per i paesi africani di depositare il 50% delle riserve nel Tesoro francese.

Ma quali sono gli altri fattori della crisi africana? Il primo fattore è una demografia troppo alta per una crescita troppo bassa. La crescita demografica del continente, che secondo le previsioni si svilupperà con un moltiplicatore fino a quattro, porterà, specialmente nell’Africa subsahariana, ad una forte domanda di prodotti agricoli, sollevando grandi questioni sul fabbisogno nutrizionale, sull’aumento della resa agricola delle superfici coltivate, sull’estensione delle aree destinate a pastorizia, sullo sfruttamento delle foreste con conseguente sostenibilità ambientale. Secondo le stime dell’Onu, la popolazione mondiale, partendo dal 2010 come anno di riferimento, passerà da 6.8 miliardi a circa 9.5 miliardi nel 2050. La popolazione africana, nello stesso periodo, passerà da meno di un miliardo d’abitanti a 2.5 miliardi. Questa crescita demografica avrà forti conseguenze sul fabbisogno alimentare del continente africano; secondo Nubukpo serviranno 500 milioni di ettari di terra supplementari per coprire i fabbisogni alimentari.
Il secondo fattore è il livello strutturalmente elevato dei tassi di interesse reali in Africa che spesso sono superiori, anche del doppio, del tasso di crescita economica. Il terzo fattore di crisi -il più strutturale- è la ristrettezza della base produttiva africana. L’Africa deve cominciare a produrre ciò che consuma attraverso la creazione di industrie di trasformazione. Senza parlare della corruzione delle classi dirigenti tollerata dalla comunità internazionale. La sicurezza fondiaria è un altro problema da affrontare. Merce divenuta rara, la terra è al centro di tutti i desideri. Non passa giorno nelle capitali africane senza che esploda un conflitto fondiario.

Proteggere la biodiversità è un altro obiettivo conseguente alla crescita demografica: per i paesi africani, in particolare per i paesi membri dell’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (UEMOA), la gestione delle risorse naturali costituisce il motore di sviluppo sociale ed economico. Tra queste risorse l’acqua, il suolo, la foresta e la fauna costituiscono il principale patrimonio nelle mani delle popolazioni rurali. Nell’attuale situazione di emergenza questo percorso dovrebbe raccogliere un largo sostegno della comunità internazionale. Altrimenti i due obiettivi dell’ONU per il 2030 (basta povertà e fame zero) sono destinati a restare lettera morta. Il Piano Mattei per l’Africa, voluto dal governo di Giorgia Meloni, è il progetto strategico di diplomazia, cooperazione allo sviluppo e investimento dell’Italia per rafforzare e rinnovare i legami con il continente che devono incentrarsi su un approccio “non caritatevole” e “non predatorio” ma piuttosto su “una cooperazione da pari a pari” che abbia come obiettivo una dinamica di sviluppo virtuosa. Secondo Mario Giro, docente all’Università di Perugia e già viceministro per gli affari esteri, in Africa si pensa che la decolonizzazione non sia stata del tutto completata, non solo a causa del neocolonialismo economico ma soprattutto per l’assenza di una “decolonizzazione mentale”. Se l’Italia riuscirà con il Piano Mattei ad impostare una partnership rinnovata avrà fatto un vero salto di qualità che sarà positivo per l’Europa tutta e per l’Africa.

Risuonano le parole di Papa Benedetto XVI che, nella giornata mondiale del migrante e del rifugiato nel 2013, affermò che, prima ancora che il diritto ad emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè ad essere in condizione di rimanere nella propria terra, ripetendo con Papa Giovanni Paolo II che «diritto primario dell’uomo è di vivere nella propria patria: diritto che però diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione».

 

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di Andrea Verde - 14 Aprile 2025