
Il libro
“Io sono Napoli”: il tributo amoroso di Alex Hunter alla città che sa rialzarsi dopo ogni caduta
“Io sono Napoli” (edito da Aurea Nox) è il libro di Alex Hunter, nato nei Quartieri Spagnoli di Napoli. Un canto d’amore e un grido di riscatto per una città che vive sospesa tra luce e ombra. La sua vita, segnata da un’infanzia e un’adolescenza difficili in un contesto privo di legalità, si riflette in una scrittura che lui definisce “sociale”. “Nessun bambino dovrebbe bruciare le tappe della vita in contesti sociali privi di legalità; ‘uomini-bambini’ privati della fanciullezza,” scrive nella sua presentazione, e questa frase diventa il nucleo emotivo del romanzo. Forgiato da un’esistenza di lotta – dall’infanzia rubata alla malattia cronica della moglie, che lo ha costretto a essere padre, madre e compagno – Alex Hunter dà voce a Napoli, una città che, come lui, incarna il paradosso del bene e del male, della speranza e della disperazione, del sacro e del profano.
Nel racconto, Napoli si narra in prima persona, una madre accogliente ma ferita, che sfida i pregiudizi con parole potenti: “Sono Napoli, città di mille volti, ferita ma mai spezzata. Mi chiamano terra di Camorra e degrado, ma io sono anche culla di arte, musica e umanità.” Questo passo è una dichiarazione di resistenza contro gli stereotipi, un’eco della vita dell’autore, che ha trasformato il dolore in creatività. Eppure, Napoli non è solo redenzione: è un enigma, un intreccio di contraddizioni. Alex lo mostra in un’immagine vivida: “Le mie strade non sono solo vicoli bui dove si sussurra di malavita; sono teatri di vita, dove un bambino gioca a pallone tra i panni stesi e una nonna canta una melodia antica”. Qui convivono il degrado e la vitalità, il male che insidia e il bene che resiste.
Le dichotomie di Napoli emergono con forza nella narrazione. È la città del sacro, con le sue chiese barocche e il culto di San Gennaro, ma anche del profano, con i suoi mercati chiassosi e le superstizioni popolari. “Mi pregano nelle basiliche e mi maledicono nei bassi” confessa Napoli, rivelando una dualità che ricorda le parole di Anna Maria Ortese in Il mare non bagna Napoli: una città “dove il cielo è alto e il destino è basso”. Alex, come Curzio Malaparte ne La pelle, dipinge una Napoli che oscilla tra la disperazione di chi lotta per sopravvivere e la speranza di chi trova bellezza nel caos: “Non sono solo le mie cicatrici a definirmi, ma la mia capacità di cantare anche quando il mondo mi vuole muta.”
Questa tensione tra opposti si riflette nella biografia dell’autore. Sposatosi giovane per costruire la famiglia che non ha mai avuto, Alex Hunter ha affrontato un destino ostile con la malattia della moglie, trovandosi in un tunnel senza uscita. Eppure, da uomo con la sola licenza elementare, ha scoperto la scrittura come salvezza, proprio come Napoli trasforma le sue ferite in arte. La città, nella sua voce, celebra la propria inclusività: “Ho accolto greci, romani, arabi, normanni. Oggi abbraccio chi arriva da lontano, senza guardare il colore della pelle o chi ama nel suo cuore.” È un’umanità profonda, che sfida l’immagine di una Napoli chiusa e ostile, ma che non nega le ombre: il male della criminalità, la disperazione della povertà.
Altri autori hanno cercato di decifrare questo mistero chiamato Napoli. Matilde Serao, ne Il ventre di Napoli, la descrive come una città viscerale, dove “tutto è vita e tutto è morte”. Alex Hunter si inserisce in questa tradizione, ma con un tocco personale: non si limita a osservare, la fa parlare. E nel farlo, suggerisce che Napoli sia un enigma irrisolvibile, un luogo dove il sacro dei suoi santi si mescola al profano delle sue passioni terrene, dove la speranza di un bambino che gioca tra i vicoli coesiste con la disperazione di un sistema che soffoca. “Sono un mistero che non si lascia afferrare,” sembra dire la città, e l’autore, con la sua vita e la sua penna, ne diventa il testimone.
Il libro è un tributo appassionato a una Napoli che, come Alex Hunter, ha imparato a rialzarsi dopo ogni caduta. È un invito a guardare oltre i pregiudizi, a scoprire una città che sfugge a ogni definizione semplicistica. Per le nuove generazioni, è un seme di cultura millenaria che chiede di essere amato e diffuso. Ma forse il vero dono di quest’opera è lasciare il lettore con una domanda: e se Napoli, con le sue contraddizioni, fosse un mistero destinato a non essere mai risolto, ma solo vissuto?