
Rapporto choc
La Corte dei conti Ue smaschera le Ong: fondi opachi, pressioni improprie e finalità politiche
Nel mirino dei revisori europei un sistema di elargizioni fuori controllo: miliardi pubblici usati per fare lobbying ambientalista e trasparenza assente
C’erano una volta le Ong. Intoccabili, immacolate, rivestite dell’aura di chi “opera per il bene comune”, e dunque al di sopra di ogni sospetto. Ora, a quanto pare, anche a Bruxelles qualcuno ha osato accendere la luce. Ed è una luce inquisitoria, quella puntata dalla Corte dei Conti europea su un mondo che, più che trasparente, si rivela «troppo opaco», come lo ha definito la relatrice, Laima Andrikienė. Le somme in gioco sono tutt’altro che irrisorie: tra il 2021 e il 2023 l’Europa ha elargito ben 7,4 miliardi di euro a queste “Organizzazioni non governative”. Per farne cosa, con quali obiettivi, al servizio di chi?
Finanziamenti opachi e Ong fittizie
Già a gennaio, il commissario al bilancio Piotr Serafin aveva pronunciato il suo verdetto: quella dell’Ue verso le Ong è una fiducia che ha ormai assunto tratti «inappropriati». Ora Andrikienė, ex europarlamentare passata in forze alla Corte dei Conti europea, incalza: «Non stiamo parlando di spiccioli». E va dritta al punto: «Il quadro dei finanziamenti Ue alle Ong resta nebuloso, poiché le informazioni sui fondi europei — incluso il lobbying — non sono né affidabili né trasparenti».
Sette miliardi di euro per fare lobby col denaro dei contribuenti
Sì, lobby. Il nodo del problema è lì, è l’elefante nella stanza. Le Ong, quelle stesse creature che i salotti progressisti dipingono come sentinelle della democrazia e del pianeta, ora si trovano a dover rispondere alla Corte per aver utilizzato fondi pubblici con l’intento di influenzare le politiche europee. Si chiama “attività di advocacy”. Ma, spogliata della terminologia zuccherata da burocrati e consulenti, si traduce così: pressione politica ben retribuita con soldi di tutti.
Ong immaginarie, ma nei board c’erano membri dei governi
Secondo i revisori, la Commissione «non ha divulgato chiaramente le informazioni in suo possesso sulle attività di advocacy delle Ong finanziate con fondi Ue». Peggio ancora: in alcuni casi, le cosiddette Ong erano istituti di ricerca i cui vertici erano esclusivamente composti da rappresentanti governativi. Altro che società civile indipendente.
Eppure, fino a ieri, bastava pronunciare “Ong” perché scattasse la standing ovation dell’élite. Quelle stesse élite che hanno cucito addosso al Green Deal europeo un mantello morale e ambientalista che ora però gli è stato strappato via. «Nelle prossime ore depositeremo le firme necessarie per richiedere l’istituzione di una Commissione d’inchiesta sul cosiddetto Greengate», annuncia Fidanza, capodelegazione di Fdi al Parlamento europeo. «Ringrazio i quasi 200 deputati che l’hanno supportata e faccio appello agli amici del Ppe, che hanno avuto un ruolo importante nel richiedere chiarezza sull’azione delle Ong ambientaliste, affinché si uniscano a noi in questa battaglia di verità e trasparenza».
Una macchina da soldi ben oliata
«Non esiste una panoramica affidabile dei finanziamenti Ue concessi alle Ong», si legge nel rapporto della Corte. In altre parole: nessuno sa davvero dove siano andati a finire questi miliardi. Non basta il marchio “ambientalista” o “progressista” per essere credibili: servono trasparenza, responsabilità, controllo. Eppure, nulla di tutto questo pare essere stato realmente implementato.
Andrikienė è categorica: «Miglioramenti sono assolutamente necessari. Non possiamo continuare con il solito atteggiamento». E sebbene la Corte non abbia riscontrato violazioni del diritto o dei valori dell’Unione, avverte che «l’assenza di trasparenza aumenta il rischio che ciò possa accadere». Un campanello d’allarme, soprattutto alla luce del fatto che, «in alcuni casi», i programmi di lavoro presentati da queste organizzazioni includevano attività di advocacy mirata e pratiche di lobbying ritenute indebite.
Le sinistre già gridano al complotto
Intanto la sinistra non commenta, e si tace anche quando emerge che i fondi del programma Life sono serviti a fare pressione proprio sulle stesse istituzioni che li erogano. Non una parola sulle Ong formalmente “indipendenti” che portavano avanti campagne ideologiche con il denaro pubblico e nemmeno su quelle piene di burocrati governativi.
È stato Daniel Freund, eurodeputato verde, a buttarla in caciara: «A leggere il titolo, si può avere l’impressione che sia colpa delle Ong… mentre si tratta di un problema generale che riguarda tutti i beneficiari dei fondi Ue». Un tentativo di diluire le responsabilità nel mare indistinto della “complessità”.
Ong come strumenti politici
Il problema, però, è grosso. Non solo per i milioni, anzi miliardi, finiti nelle casse di organizzazioni dai contorni incerti, ma per l’ideologia che sorregge questo sistema. Le Ong sono diventate strumenti politici camuffati da benefattori. Un grimaldello per spingere agende ideologiche, mascherate da campagne civiche.
Mentre si cercano risposte, il sospetto che per anni si sia usata la parola “Ong” per giustificare ogni tipo di influenza politica diventa sempre più fondato.