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La destra, la sinistra e il 25 aprile: Giorgia Meloni ha decolonizzato la destra

L'intervento

La destra, la sinistra e il 25 aprile: Giorgia Meloni ha decolonizzato la destra

L’eroe della destra adulta, impiantata e attiva nel ventunesimo secolo è Enrico Mattei: un principio politico, non solo un grande italiano

L'analisi - di Carmelo Briguglio - 25 Aprile 2025 alle 10:40

Oggi siamo qui a commemorare un uomo libero e coraggioso ucciso da squadristi fascisti per le sue idee. Onorare il suo ricordo è fondamentale per ricordarci ogni giorno a distanza di 100 anni da quel discorso il valore della libertà di parola e di pensiero contro chi vorrebbe arrogarsi il diritto di stabilire cosa è consentito dire e pensare e cosa no” (Giorgia Meloni, 30 maggio 2024). 

Pur in giorni di lutto, mi permetto qualche pensiero sul 25 Aprile. Osservo che, purtroppo, a sinistra non leggono più, lo facessero, farebbero tesoro della lezione di Giorgio Amendola, figlio di Giorgio, uno dei patres conscripti del comunismo e dell’antifascismo italiano, per il quale è sempre un grave errore ritenere che tutto quello “che è a destra diventa fascista. Io non mi stanco mai di ripetere, in ogni occasione, che conservatore, reazionario, autoritario, fascista, sono termini che corrispondono a diverse formazioni politiche, a diverse realtà. Quindi non approvo certe equiparazioni generiche e superficiali” (Intervista sull’antifascismo, con P. Melograni, Laterza, Bari, 2008, pag. 183).

De Felice: la mentalità fascista ereditata dagli antifascisti

Invece è proprio l’errore da cui non riescono a liberarsi, oggi più che mai nel concerto delle Nazioni è un dato acquisito che l’Italia è guidata da una premier di destra, quarantenne, democratica, che ha giurato sulla Costituzione e che ha approvato da dirigente giovanile di An le Tesi di Fiuggi (1995). Niente da fare non ce la fanno. Men che mai – figuratevi – se hanno voglia di apprendere la lezione di Renzo De Felice, lo storico che scappò dal PCI dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956: il fascismo “uno dei danni più grossi che ha fatto è stato quello di lasciare in eredità una mentalità fascista ai non fascisti, agli antifascisti, alle generazioni successive anche più decisamente antifasciste”. (Intervista sul fascismo, con M. Leeden, Laterza, 2004, pag 7). Profetico. Non c’è bisogno di spiegare perché. La giornata di oggi, festa che la sinistra vuole divisiva, continua ad essere vissuta, come arma contro il Nemico politico di oggi, non contro quello vero morto e sepolto da 80 anni. Ci ho provato tante volte; è inutile riportare il testo finiano di Fiuggi, commentare quelle parole, scolpite nella storia della destra, di trent’anni fa: «È giusto chiedere alla destra italiana di affermare senza reticenza che l’antifascismo fu un momento storicamente essenziale per il ritorno dei valori democratici che il fascismo aveva conculcato”. E che la “destra politica non è figlia del fascismo. I valori della destra preesistono al fascismo, lo hanno attraversato e ad esso sono sopravvissuti”. Non basta mai. Ci vuole pazienza a farlo entrare nella biblica “dura cervice” del mondo progressista. Ci provo anche oggi con un argomento “nuovo”: il Piano Mattei che il governo va caricando di normative, di contenuti, di risorse, senza che l’opposizione – cosi mi pare – sappia opporre altro da scetticismo e incredulità che non sono esattamente una linea politica alternativa.

Piano Mattei, la destra libera dal retaggio coloniale

E vabbè; ma è stato certamente trascurato ciò che il Piano rappresenta come evoluzione nella cultura politica della destra italiana; la quale fa un passo avanti importante rispetto alla sua tradizionale rappresentazione politico-simbolica; un passo avanti importante rispetto alla stessa svolta di Fiuggi: il distacco dalla “ideologia coloniale”, dalla sua suggestione che ha popolato l’immaginario della destra post-fascista e, diciamo la verità, quello della maggior parte degli italiani; la convinzione si trattasse di un colonialismo dal volto umano, una versione soft rispetto alle dominazioni delle altre potenze europee; da quello dell’Impero inglese, dalle dure “occupazioni” dei francesi che si portano dietro tutta la vicenda dell’ Oas, della Legione Straniera e della filmografia di cui è simbolo la Battaglia di Algeri, messa in scena da un italiano – il regista Lillo Pontecorvo – la cui proiezione nelle sale cinematografiche d’Oltralpe è stata vietata fino al 1971 e forse incontrerebbe delle difficoltà anche oggi. La scelta della Meloni che “resuscita” Enrico Mattei equivale alla decolonizzazione della cultura politica della destra, per il tramite di un italiano carismatico, tutt’altro che figura angelica, che con la presidenza dell’Eni sarebbe divenuto uno delle personalità più potenti nel mondo del primo Dopoguerra e con altrettanto potenti nemici; ma armato di un messaggio ancora più potente: “Con la guerra l’Italia ha perduto le sue colonie. Certuni – è la visione di Mattei – pensano che sia stata una sventura: è in realtà un’immenso vantaggio. È perché non abbiamo più colonie che siamo ben accolti in Iran, nella Repubblica Araba Unita, in Tunisia, in Marocco, nel Ghana” (Italo Pietra, Mattei la pecora nera, Sugarco, 1984).

Il principio politico della cooperazione in Africa

Il principio di cooperazione, non lo sfruttamento; Giorgia Meloni ne sposa la filosofia: occorre stabilire con i Paesi del Terzo Mondo, detentori di grandi riserve di materie prime e di immense risorse energetiche, un “nuovo modello di cooperazione che rifugge qualsiasi tentazione predatoria, così come ogni approccio di tipo paternalistico – ha detto la premier italiana al Vertice Italia-Africa del 29 gennaio 2024 – ma anche una certa idea che il rapporto con l’Africa vada vissuto soprattutto su una dimensione così caritatevole, che non fa stato delle grandi opportunità e delle grandi potenzialità delle quali il Continente dispone”. È una dichiarazione che impegna la Repubblica Italiana, ma a maggior ragione integra, con tavole ex novo, le Tesi di Fiuggi ereditate da An; innova la cultura della destra, la sua visione politica, la sposta dal colonialismo compassionevole, in fondo più civile di quello altrui, all’idea del “petroliere senza petrolio” che costituiva joint venture con le ex colonie, con i Paesi ospitanti riconoscendogli la maggior parte degli utili – 75% a loro e 25% all’Eni – alternativo al mero sfruttamento dell’allora cartello mondiale anglo-americano, delle Sette Sorelle (la definizione è di Mattei) che additarono il manager pubblico italiano come nemico numero uno. E lui replicava:”L’Italia non ha colonie e non ha nemici nel Terzo Mondo”. Era questo che gli interessava, che forse gli costò la vita. Il pianeta nel frattempo è molto cambiato, le Sette Sorelle non ci sono più, l’America oggi ha il suo petrolio; ma quel principio della cooperazione in luogo dell’utilizzo e basta, che al tempo diede scandalo, oggi è considerato fondamentale dalla premier italiana.

Da Faccetta nera al partigiano Mattei

Un principio che è politico, soprattutto politico, il quale – al di là delle ricadute del Piano che si potranno verificare negli anni a venire – intanto ha fatto compiere alla destra un rilevante aggiornamento del proprio statuto politico e morale. Le conquiste africane, le colonie, l’Impero sono rinchiusi definitivamente dentro i libri di storia; lo spettro del generale Graziani, vicerè di Etiopia – con le sue “gesta”, incluso l’uso bellico dei gas – è collocato per sempre nel museo delle cere della destra post-fascista. E così è archiviata quell’idea buonista del “posto al sole” – poggiata sul confronto con le altre potenze coloniali, ben più aspro – che era diffusa da Faccetta Nera, la popolarissima canzone, al tempo conosciuta e cantata da tutti. Questa pagina, FdI e la cultura della destra se la getta definitivamente dietro le spalle: l’eroe della destra adulta, impiantata e attiva nel ventunesimo secolo – tale proclamato dalla Meloni con un atto di governo che qualifica il primo esecutivo guidato dalla destra- è Enrico Mattei: importante figura della Resistenza, comandante dei partigiani bianchi, dai nomi di battaglia più evocativi: Este, Monti, Marconi, Leone; e poi deputato dc e soprattutto – nell’epoca di De Gasperi, Dossetti, Gronchi, La Pira e in quella degli emergenti Fanfani, Moro, Andreotti – presidente di quell’Eni, ancor oggi inestimabile patrimonio dell’Italia, che segna strategie e continuità dell’interesse nazionale dell’Italia nel mondo; soprattutto in Africa, dove il nome di Mattei richiama i valori della reciprocità, dell’affidabilità e rispetto nelle classi dirigenti e nella memoria dei popoli del Continente.

Giorgia Meloni ha “decolonizzato” la destra

Quel manager di Stato, visionario e a volte spregiudicato, per Giorgia Meloni è un modello, uomo del futuro-presente della destra di governo, dei suoi valori ispirati all’interesse nazionale; quel patriota che “ha lasciato una grande eredità di affetti, e una grande prospettiva di cooperazione…In valori, il ricordo della solidarietà ricevuta nelle ore più dure giova all’immagine dell’Italia in tante capitali”, come ha scritto Italo Pietra. È tuttora così. E questo patriota a modo suo, è stato riscoperto e adottato dal primo presidente del Consiglio della destra italiana; che così scrive una importante pagina di storia politica, oltre che di geopolitica: la decolonizzazione della destra. Nella giornata della Festa della Liberazione, questa scelta importante della Meloni ha un senso ed è un contributo obiettivo a costruire una memoria condivisa. Va detto e fatto comprendere. Nonostante tutto. Oggi, soprattutto oggi.

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di Carmelo Briguglio - 25 Aprile 2025