
Questione di misunderstanding
L’Ucraina come la Berlino del ’45? Il piano evocato dagli Usa smentito in fretta: “Nessuna partizione, il Times ha travisato”
Chi dice il vero? Una cosa è certa: i fantasmi del passato non piacciono a nessuno, né ad Est né ad Ovest. Mosca: "Conservare un’influenza sull'Ucraina solleva serie preoccupazioni"
Keith Kellogg nega, Mosca lo avverte. Il generale americano a riposo, oggi inviato speciale presidenziale per l’Ucraina, ha appena evocato — o forse no — lo spettro di Berlino 1945, con un’Ucraina ridisegnata come una mappa in tempo di armistizio: a ovest le forze anglo-francesi, a est la Russia, in mezzo una zona cuscinetto, per tenere a bada la prossima fiammata. Il Times lo ha messo nero su bianco. Lui, Kellogg, ha smentito via social: «L’articolo del Times travisa ciò che ho detto. Stavo parlando di una forza di resilienza post-cessate il fuoco a sostegno della sovranità ucraina. Quando ho discusso di partizione, mi riferivo ad aree o zone di responsabilità per una forza alleata (senza truppe statunitensi). Non stavo parlando di una partizione dell’Ucraina».
Ucraina come Berlino? “Una cosa simile porterebbe a un’escalation”
Come si poteva prevedere, a Mosca l’idea non è piaciuta: «Mantenere in quell’area una zona di militarizzazione e la formazione di elementi radicalizzati potrebbe in seguito essere attuata attraverso un nuovo livello di escalation», dichiarava già sabato Rodion Miroshnik, ambasciatore itinerante del ministero degli Esteri russo, durante una diretta su Soloviev Live. A riportare ogni parola, l’agenzia di stampa russa Tass.
Non bastasse, Miroshnik aveva anche rincarato: «Questo focolaio tossico mantiene in piedi queste opzioni di occupazione. Il fatto di conservare un’influenza su questo territorio, anche di tipo militare, senza creare una zona smilitarizzata, solleva serie preoccupazioni per il prossimo futuro».
Kellogg si smarca: “Non parlavo di partizione”
La miccia, in ogni caso, l’aveva accesa il Times, citando l’ipotesi attribuita a Kellogg di suddividere l’Ucraina in zone di responsabilità, affidando l’ovest del Paese a una forza franco-britannica con funzione di «rassicurazione», mentre la Russia presidia l’est. Tra i due blocchi, una zona demilitarizzata tracciata lungo le attuali linee del fronte. Il tutto, senza soldati americani sul campo.
Nessuna forza militarizzata nell’Ucraina post-guerra
A Mosca, però, l’allusione è bastata. Sergey Lavrov ha messo in chiaro nuovamente che «la presenza di truppe della Nato, sotto qualsiasi bandiera e in qualsiasi veste, sul suolo ucraino rappresenta una minaccia per la Russia», e ha aggiunto che Mosca «non lo accetterà in nessuna circostanza».
Il governo italiano sulla questione è già stato categorico: «Non è prevista alcuna partecipazione nazionale a una eventuale forza militare sul terreno». Roma continua a lavorare sul piano diplomatico, impegnata a «fermare il conflitto e raggiungere una pace che assicuri la sovranità e la sicurezza dell’Ucraina».
Witkoff e Putin, dialogo a porte chiuse
Intanto, a San Pietroburgo, Steve Witkoff, inviato personale di Trump, stringeva la mano a Vladimir Putin. L’incontro, svoltosi nella Biblioteca presidenziale, è durato oltre quattro ore e mezza, ed è stato definito dal Cremlino «professionale». Ma l’immagine di Witkoff con la mano sul petto – preceduta da un rapido sistemarsi della cravatta – ha fatto in il giro del web. «Benvenuto», ha esordito Putin. «Sono lieto dell’incontro», ha risposto Witkoff.
È la terza volta che Witkoff e Putin si vedono. Peskov, portavoce del Cremlino, ha dichiarato che i colloqui «si sono concentrati su diversi aspetti dell’accordo sull’Ucraina», e che «non ci si aspettava una svolta». Nulla di risolutivo, insomma. Ma il solo fatto che si siano incontrati è già un segnale, soprattutto alla vigilia di un «teoricamente possibile», precisa Peskov, colloquio telefonico tra Trump e Putin.
Proposte, sanzioni e linee rosse
Sul tavolo c’è l’ipotesi – secondo quanto riportato da Axios – che l’ex presidente americano possa decidere nuove sanzioni contro Mosca se non si raggiunge una tregua entro fine mese. E tra i documenti arrivati alla sua scrivania, c’è anche la proposta – firmata Russia – di riconoscere la sovranità di Mosca sulle regioni occupate dal 2022: Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson. Witkoff l’avrebbe portata a Trump, ma Kellogg avrebbe subito gelato l’ipotesi, ricordando che «Kiev non accetterà mai un simile passo».
La Casa Bianca prende tempo
Nel frattempo, il balletto diplomatico prosegue. La Casa Bianca, tramite la portavoce Karoline Leavitt, ha confermato: «L’inviato speciale Steve Witkoff, in Russia per avere comunicazioni dirette con il Cremlino e Vladimir Putin» è «un altro passo nel processo di negoziazione verso un cessate il fuoco e un accordo di pace definitivo». E aggiunge: «Il presidente è stato molto chiaro sul fatto che è stato continuamente frustrato da entrambe le parti di questo conflitto».