
Altro che corsa verde
Melonomics: la strategia italiana per salvare industria e lavoro dalla tempesta dei dazi e dall’assedio dell’elettrico
Come il governo fronteggia la concorrenza asiatica e le follie Green europee: rigore nei conti, difesa della manifattura e una strategia diplomatica per proteggere la qualità europea
Sono arrivati in questi giorni i dati sull’industria automobilistica. Il principale elemento di interesse è l’avanzata dell’elettrico. L’aspetto più rilevante è l’avanzata dell’elettrico: la quota di mercato delle auto tradizionali è scesa dal 48,3% al 38,3% rispetto allo stesso periodo del 2024. Nel primo trimestre del 2025, la quota delle auto a batteria si è attestata al 15,2%, con 412.997 unità complessivamente immatricolate. Tre dei quattro principali mercati dell’Unione Europea, che rappresentano il 63% di tutte le immatricolazioni dei veicoli elettrici, hanno registrato forti incrementi: Germania (+38,9%), Belgio (+29,9%) e Paesi Bassi (+7,9%), mentre la Francia ha segnato un calo del 6,6%.
La manifattura italiana sotto assedio dell’elettrico
L’Italia, in questo contesto, vede cedere sempre più terreno nella sua manifattura, ancora fortemente orientata al motore a scoppio, a favore delle vetture orientali (Saic ha messo a segno un incredibile +73%). L’arrivo dei dazi nel principale mercato delle auto tradizionali, gli Stati Uniti, rischia di rappresentare l’ultimo chiodo nella bara per il nostro settore. Un vero colpo mortale.
Le tre strategie del governo su dazi, auto e debito
Di fronte a tutto ciò, il governo ha messo in campo tre strategie decisive. In primo luogo, ha avviato un processo di revisione delle varie “rivoluzioni verdi” promosse da Bruxelles. Un percorso iniziato già con l’insediamento dell’esecutivo e coronato con la nuova Commissione von der Leyen, che ha sposato il principio della neutralità tecnologica e ha allentato i vincoli che finivano per favorire esclusivamente Pechino, penalizzando tutti gli altri.
In secondo luogo, il governo ha affrontato con fermezza il problema principale del Paese: il debito. A differenza dei suoi predecessori, ha resistito alle pressioni per un allentamento della disciplina finanziaria. Oggi l’Italia fa debito per pagare il debito stesso; se iniziasse a farlo anche per nuove spese, si imboccherebbe una strada senza uscita. La lezione è stata evidente di fronte ai dazi statunitensi, quando la Spagna ha annunciato 14 miliardi di nuovo debito per fronteggiarli—una scelta insostenibile perfino per loro. L’Italia, invece, ha puntato sulla diplomazia. E ha vinto.
Nessuna apertura alla Cina
Infine, mentre alcuni proponevano aperture verso la Cina come ripicca contro gli Stati Uniti, l’Italia ha mantenuto la barra dritta. Non si può spalancare il mercato a chi, con lavoro schiavista, sussidia un’industria che ci inonda di beni sottocosto. Così facendo, si peggiorerebbe la situazione: le auto prodotte in Italia, rispettose dei diritti dei lavoratori e delle normative ambientali, diventerebbero invendibili. Avanzerebbero invece prodotti scadenti, frutto del dumping commerciale e dell’assenza di regole.
Questa linea dura darà i suoi frutti nel tempo. È la differenza tra un politico e uno statista, dopotutto. E sarebbe bene ricordarlo anche a chi, da sinistra, propone la decrescita come soluzione ai mali del mondo. Quella che oggi chiamano decrescita, i nostri figli la chiameranno omicidio dell’Occidente: una sciagura da evitare a ogni costo.