
C'è aria di distensione
Nucleare, tra Iran e Usa spiragli di intesa. Tajani conferma l’ottimismo di Trump: “Forse ci siamo”
Dopo anni di minacce e sanzioni, si riscopre la lingua dei negoziati. Il secondo round di incontri di sabato a Roma fa ben sperare. In Oman ora pronti a discutere la bozza dell’accordo
Di solito, quando si parla di Iran e Stati Uniti, la parola “ottimismo” non trova posto neppure tra le righe. E invece sabato scorso, a Roma, è accaduto qualcosa che ha ribaltato il tavolo: non ci sono stati insulti, né anatemi, né l’eco dei tamburi di guerra. Ma scambi, sorrisi misurati, formule sospese. E ora persino Donald Trump si dice soddisfatto: «Abbiamo avuto incontri davvero ottimi con l’Iran. Il prossimo passo è che abbiamo bisogno di un po’ di tempo». Parole pronunciate alla Casa Bianca durante l’Easter Egg Roll senza minacce stavolta, segno che, davvero, qualcosa si è mosso.
“L’Iran è pronto a raggiungere un accordo”
Da Teheran, il presidente Masoud Pezeshkian mette i puntini sulle “i”: «L’Iran è pronto a raggiungere un accordo con gli Stati Uniti solo entro un quadro preciso e tutelando gli interessi nazionali. Se l’America non vorrà negoziare con noi da una posizione di parità, andremo avanti per la nostra strada». Non è entusiasmo, ma nemmeno una sfida. «Non siamo né ottimisti né pessimisti», ha puntualizzato.
Tajani: “Forse ci siamo”
Intanto, l’Italia si ritaglia il ruolo di protagonista silenziosa. Antonio Tajani non nasconde l’impegno della Farnesina: «È stata una giornata importante, forse ci siamo. Ho incoraggiato il ministro iraniano Abbas Araghchi a rispondere alle mediazioni dell’Oman. Avevo incontrato anche il ministro degli Esteri omanita, il quale aveva chiesto il supporto dell’Italia per incoraggiare le controparti a raggiungere un accordo». E ha aggiunto: «Continuiamo a sostenere il lavoro del leader dell’Agenzia nucleare dell’Onu, Rafael Grossi, e lo incoraggiamo a fare passi determinati in avanti per un’azione che impedisca all’Iran di utilizzare un’arma atomica».
Le richieste di Teheran
Ma l’Iran non si lascia incantare dalle promesse. La donna portavoce del governo, Fatemeh Mohajerani, lo ribadisce: «La revoca effettiva delle sanzioni è la nostra principale richiesta nei negoziati indiretti con gli Stati Uniti». E su un punto è inflessibile: il trasferimento dell’uranio arricchito fuori dal Paese resta la «linea rossa».
Prossima tappa Muscat
Dietro le quinte, la diplomazia corre. Sabato prossimo, a Muscat, i tecnici torneranno al tavolo per redigere i principi base dell’accordo. E se la bozza sarà approvata, capi delegazione e diplomatici torneranno a confrontarsi. «Il secondo round ha registrato buoni progressi», spiega al Corriere della Sera Seyed Hossein Mousavian, veterano delle trattative sul nucleare e ora docente a Princeton. «C’è speranza – aggiunge – ma servirà ancora prudenza». Prudenza, parola chiave anche per Kelsey Davenport dell’Arms Control Association, che all’Ap chiarisce: «Accettare colloqui tecnici suggerisce che entrambe le parti esprimono obiettivi realistici. Ma senza un’intesa politica solida, i tecnicismi rischiano di svanire nel nulla».
Israele allerta: riunione di sicurezza questa sera
E Israele? Non resta a guardare. Mentre a Roma si discuteva di pace, l’Aeronautica israeliana simulava attacchi sulle basi già colpite dai missili iraniani. Secondo Kan News, «l’esercitazione mira a rafforzare la prontezza in caso di fallimento dei colloqui». Il premier Netanyahu ha convocato per stasera il gabinetto di sicurezza. All’ordine del giorno: Iran e nucleare. Perché Bibi Netanyahu non si fida. E Washington dovrà scegliere se trattare o appoggiare eventuali piani militari. Per ora, Trump mantiene il profilo basso, ma con sei bombardieri B2 in zona e portaerei in standby.
Tuttavia, non tutti, nella sua squadra Usa, sono favorevoli al dialogo: il segretario di Stato Marco Rubio e il commissario per la sicurezza nazionali Mike Waltz restano contrari. Ma il vicepresidente J.D. Vance e Pete Hegseth, vicepresidente e capo del Pentagono, spingono per un’intesa. E il tycoon li ascolta. Soprattutto ora che, ormai passati i 100 giorni del nuovo mandato, un successo negoziale potrebbe trasformarsi in un prezioso boost di consensi.
Fronte russo e fronte cinese
Nel frattempo, Abbas Araghchi si prepara al viaggio a Pechino. Anche lì si parlerà di nucleare e di sanzioni. Per il portavoce Esmaeil Baqaei, «la revoca delle sanzioni è naturale, perché ingiustificate e illegali». A marzo, la Cina ha già ospitato un trilaterale con Iran e Russia, conclusosi con una dichiarazione congiunta: “ritirare tutte le sanzioni unilaterali”. Il Dragone ora chiede “scambi approfonditi” e promette di “rafforzare la fiducia politica reciproca”.
Khamenei, la svolta e il precedente religioso
A Teheran, intanto, l’ayatollah Ali Khamenei ha dato il via libera ai negoziati. Un cambiamento radicale, spiegano gli analisti, motivato dal timore di un attacco militare, da una crisi economica ormai fuori controllo e da un’opposizione interna sempre più visibile. Per convincere i più scettici, il regime scomoda persino la storia sacra. Il trattato di Hudaybiyyah, siglato da Maometto nel 628 d. C. con i suoi nemici della Mecca, viene paragonato ai negoziati con gli Stati Uniti: una pace apparente, ma strategica. La “flessibilità eroica” già evocata nel 2013 ora ritorna come unica ancora di salvezza.