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Perché le risposte alla crisi dei dazi (e non solo) sono di destra

L'editoriale

Perché le risposte alla crisi dei dazi (e non solo) sono di destra

Da un quarto di secolo le classi lavoratrici di Europa e Usa, con gli stessi “colpevoli” - i vari Clinton e Prodi, hanno subito le medesime pratiche sleali da parte della Cina e dei suoi satelliti

L'Editoriale - di Antonio Rapisarda - 9 Aprile 2025 alle 11:16

Donald Trump interprete della «destra sociale» in salsa Usa. L’ultima definizione di una lunga serie giunge stavolta da un (vero) conoscitore di politica americana come Federico Rampini che sul Corriere della Sera di ieri ha evidenziato nelle mosse protezioniste del numero della Casa Bianca un tratto appannaggio di quel caleidoscopio di pragmatismo ed umanesimo che è stata ed è la destra. Una risposta, scrive l’analista, a «un pezzo d’America che piange, da un trentennio, la sua vocazione industriale tradita dal grande capitale cosmopolita». Vero? Falso? Verosimile. E pensare che in tanti – soprattutto in Europa – erano convinti che il presidente Usa sarebbe stato né più né meno che ostaggio di un’altra destra: quella dei magnati, della “tecnodestra”, e della loro volontà di potenza che esige, al contrario, la deregulation. Ma come al solito gli esperti nostrani sono cinture nere di buchi nell’acqua.

Per carità, Donald Trump è imprevedibile: e davanti alla rivolta dei mercati (spontanea? Eterodiretta?) contro la sua politica dei dazi potrebbe tornare parzialmente sui suoi passi. Eppure, come a voler fissare con un’impronta il momento storico, resta la sagoma plastica dell’operaio-sindacalista chiamato dal tycoon proprio accanto a lui durante il Liberation Day. Quadretto perfetto per illustrare l’obiettivo politico del leader Maga: dopo decenni di delocalizzazione nel sudest asiatico e in Cina (il vero obiettivo della campagna trumpiana), riportare la produzione della ricchezza nelle mani delle classi lavoratrici americane. E qui ritorna, soprattutto in politica interna, la categoria utilizzata da Rampini.

Piaccia o no, realizzabile davvero o meno, eretica o demolitrice della logica del Wto da cui è derivato il virus cinese, è questa l’idea-guida del 47° presidente nei confronti della maggioranza del suo elettorato: rafforzare il mercato nazionale, risollevare il potere d’acquisto del piccolo ceto medio impoverito e soprattutto riscattare il primato produttivista degli Stati Uniti. Il tutto, come rovescio della medaglia, a danno delle grandi multinazionali che vedranno ridurre così i loro (mostruosi) dividendi, con relativi titoli azionari. Se la guardiamo così – al netto della lettura complementare dei dazi, quella negoziale e geopolitica, nei confronti di nemici e amici di Trump nello scacchiere internazionale – non è eresia riscontrare i caratteri “sociali”, nazionali ed operaisti della politica Trump. Di destra e di sinistra allo stesso tempo.

Eppure a stracciarsi le vesti, anzi l’eskimo, per i crolli dei titoli in Borsa è stata soprattutto la sinistra: rivelandosi così, ancora una volta, più sensibile alle dinamiche speculative della finanza che alle ansie concrete del popolo. Certo, c’è una dose massiccia di propaganda anti-trumpiana negli strali apocalittici lanciati dai liberal di tutto il mondo contro le politiche di Trump. Ma dietro gli slogan si nasconde in realtà l’incapacità cronica di lettura dei fenomeni: di comprendere ad esempio come nessuno, fra i ceti popolari, possegga titoli del mercato azionario. Molti, al contrario, hanno subito – negli Usa come in Europa – la desertificazione industriale, lo sradicamento reale della manifattura, l’erosione angosciante del proprio reddito.

Sta qui la logica “zero per zero” sui prodotti industriali con cui Giorgia Meloni – con la benedizione dell’intera Ue – si presenterà in missione alla Casa Bianca: con l’obiettivo di abbattere al massimo i dazi fratricidi fra economie gemelle. Perché da un quarto di secolo a queste parte le classi lavoratrici di Europa e Usa, con gli stessi “colpevoli” (i vari Clinton e Prodi), hanno subito le medesime pratiche sleali da parte della Cina e dei suoi satelliti. E perché la direttrice europea lanciata dalla premier italiana per ribaltare la crisi in occasione («Rendere il nostro sistema economico più produttivo e competitivo») si muove con il duplice scopo di abbattere i «dazi interni» – dal Green deal al muro di burocrazia che penalizza le imprese continentali – per garantire maggior reddito proprio ai lavoratori. È “destra sociale” questa? Sono precise responsabilità di una forza di governo. Se poi la sinistra ha dimenticato i fondamentali, inchinandosi a tutte le storture della globalizzazione, non è certo una colpa della destra se tenta di riempire gli spazi vuoti. Che nelle urne elettorali, come in fisica, non esistono.

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di Antonio Rapisarda - 9 Aprile 2025