
Il punto di vista
Piccola storia delle Regioni: perché sogno la Regione Ausonia (con capoluogo Melfi)
Senza azzardarci a contare le centinaia di antiche entità statali più o meno di diritto o di fatto, fermiamoci al 1814-15, e seguenti. In brevissimo e con qualche imprecisione: Regno di Sardegna con l’isola, il Piemonte con Aosta, Nizza, Savoia, Liguria. Regno Lombardo-Veneto, in pratica austriaco; austriaci di diritto gli aboliti principati vescovili di Trento e Bressanone; e Gorizia, Trieste, Istria, Fiume, Dalmazia. Parma, Piacenza, Guastalla. Massa e Carrara, nel 1829 annesse a Modena. Modena e Reggio. Toscana. Ferrara, Bologna, Romagna, Marche, Umbria, Lazio fino a Sora, Pontecorvo e Benevento: Stato della Chiesa. Abruzzi con Molise, Meridione, Sicilia, dal 1816 Regno Due Sicilie. Erano Stati, e suddivisi in Province di stampo napoleonico, non in Regioni.
Con l’unificazione (1859, 1861, 1866, 1918), vennero mantenute le Province; ma si riconobbe l’esistenza delle Regioni, per quanto fino al 1970 quasi solo nominali; però ogni cartina politica d’Italia le mostrava con i confini e i colori e dei capoluoghi: ma erano somme di Province. I burocrati che le disegnarono, e colorarono, apportarono nel tempo qualche modifica: Nizza e Savoia erano passate alla Francia; divennero italiani Trentino, Alto Adige, Venezia Giulia, Trieste, Istria, Zara, Fiume. Alla Toscana si aggiunsero Massa e Carrara, e la Romagna Toscana passò in Provincia di Forlì; Gaeta divenne laziale; il Molise si staccò dagli Abruzzi. Le Province del Meridione costituirono la Campania (senza Gaeta ma con Benevento), la Basilicata, le Puglie e la Calabria. Dal 1946 con la Sicilia, vennero istituite Regioni autonome: Aosta; Trentino – Alto Adige, oggi due Province autonome; Friuli; Sardegna. Quando nel 1970 le Regioni “ordinarie” iniziarono a esistere effettivamente, vennero semplicemente adottati i territori risultanti, dicevamo, da somme di Province.
Le venti Regioni individuate, le attuali, sono diverse tra loro non tanto per estensione, quanto per numero di abitanti. Stando alle cifre statistiche, la Lombardia ne conta 10 milioni; il Lazio, 5.700.000; altrettanti la Campania; il Veneto, 4.900.000; la Sicilia, 4.700; Emilia-Romagna, 1.500; Piemonte, 4.300.000; Puglia, 3.800; Toscana, 3.600.000… Ma la Calabria, a stento 2 ml.; la Liguria, 1.500; così la Sardegna; la Basilicata, 800.000; l’Umbria, poco di più; il Molise, nemmeno 300.000; Aosta, 130.000. Attenzione: sono cifre ufficiali, mentre è noto che in Lombardia abitano moltissimi non residenti, e tanti residenti all’anagrafe, nella mia Calabria non abitano. Quanto alle differenze di economia e servizi, credo sia superfluo insistere.
E se ci ripensassimo, soprattutto in vista dell’autonomia? Autonomia che per ora pare sospesa, ma prima o poi… Ebbene, non dobbiamo far finta che la Regione X, diciamo la Calabria, possa essere autonoma come la Regione Y, diciamo la Lombardia; e non è solo una questione di soldi, lo è di orografia, demografia, economia, comunicazioni, servizi…
Secondo il mio modestissimo parere, perché il Meridione possa reggere alla sfida dell’autonomia, avrebbe bisogno di congrue estensione e popolazione. Mi piacerebbe proporre una Regione Meridione, la chiamo Ausonia (ma nomina non sunt consequentia rerum), con Molise Campania Puglia Basilicata Calabria, per un totale di 12 milioni di anime; e un territorio che ha delle difficoltà, ma anche potenzialità, e finora non bene utilizzate. Per gli appassionati di storia, queste terre costituirono per secoli un sistema integrato, e anche politicamente identificato: il Reame; altra storia, la Sicilia; e ormai gli Abruzzi, se non mi sbaglio, sono Centro e non Meridione.
Non parlo di mere e brute cifre. Dalla metà dell’Ottocento, e dico almeno dal 1850, il Meridione non ha avuto una classe dirigente adeguata; dico classe dirigente organica, non eventuali singole persone di valore; e dico classe dirigente, non utopisti, di cui invece abbonda. Oggi andrebbe accuratamente evitato l’errore di conservare l’esistente, semplicemente sommando l’attuale; e ammucchiando le presenti istituzioni regionali, che, detto in generale, hanno fatto e fanno assai discutibile prova.
Occorrerebbe un ripensamento anche istituzionale. Per esempio: un Presidente direttamente ed esplicitamente eletto, e che nomini gli assessori; un Consiglio di pochi e qualificati membri eletti in liste, e che si riunisca ogni tanto; un Consiglio corporativo di designati pro tempore in rappresentanza dei corpi intermedi naturali; una burocrazia snella e operativa; e opportune suddivisioni amministrative concretamente rispondenti alle esigenze locali; accorpamenti dei troppi e troppo vuoti Comuni, che non sono eredità del re Italo di quattro millenni fa, come qualcuno sogna, ma, in quanto Comuni, degli occupanti francesi del 1807 e 1811. In Calabria se ne contano esageratamente 404!
Siamo nel 2025, e molto può essere gestito con una funzionante rete telematica. Siccome però una sede ci vuole, io, per vezzo di storico e per evitare le probabilissime contese di campanile, indico Melfi, dove nacque il Reame, dove vennero emanate le Leges Augustales del 1231; e che è centrale. Metto avanti le mani. Un’eventuale riforma scatenerebbe una settimana di proteste; un’altra settimana di recriminazioni; una terza settimana di nostalgie: alla quarta, quasi tutti diventerebbero fedeli cittadini di Ausonia, Regione d’Italia, dimenticando il passato.