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“Poche ma buone”: quando la meta è l’onore da salvare. Un libro celebra le vittorie dell’Italia nel “Sei Nazioni”

La recensione

“Poche ma buone”: quando la meta è l’onore da salvare. Un libro celebra le vittorie dell’Italia nel “Sei Nazioni”

Cultura - di Felice Massimo De Falco - 26 Aprile 2025 alle 18:24

Immergersi nelle pagine di Poche ma buone. Le vittorie dell’Italia nel Sei Nazioni di rugby” (Ultra Edizioni, pp 25, E 16,50 euro) è come calarsi nell’arena di una vera partita di rugby: il cuore che pulsa al ritmo dei placcaggi, l’ovale che scivola tra le mani sudate e il boato della folla che ti spinge oltre i tuoi limiti. Con un linguaggio avvolgente e viscerale, Panico non si limita a narrare le rare vittorie dell’Italia nel Sei Nazioni, ma ci catapulta nel vivo dell’azione, facendoci vivere ogni momento come se fossimo in campo con la maglia azzurra indosso.

Questo libro, edito da  è un’esplosione di emozioni, un viaggio che ti fa sentire il fango sotto gli scarponi, il peso di un drive in mischia e l’esultanza selvaggia di una meta strappata con i denti. Dall’incipit dell’introduzione, Panico ci cattura con un’immagine potente: “L’ha messo dentro. Fanculo. L’ha messo dentro. Non ci eravamo mai andati così vicini”.

Queste parole, cariche di rabbia e speranza, ci proiettano direttamente nell’Italia-Scozia del 17 marzo 2018, un match che l’autore vive febbricitante a letto, con la febbre a 39 e il cuore appeso al calcio decisivo di Laidlaw. È un’immersione totale: senti il dolore alle ossa, il brivido dell’attesa, e quel misto di gioia e delusione quando la vittoria sfuma per un soffio. Panico trasforma questa sconfitta in un preludio perfetto per il suo racconto, un’esortazione a non arrendersi, che risuona in ogni capitolo come un grido di battaglia.
Il libro è un’esaltazione della resilienza italiana, e Panico lo rende tangibile con descrizioni che sembrano quasi coreografie di rugby.

Nel capitolo 15, “Che gran finale! (Ma solo per ora)”, la vittoria a Cardiff nel 2024 prende vita: “Monty Johane che col Principality ha un conto aperto dal 2022… con scatto da giaguaro schiaccia a terra. Una marcatura di sostanza e di soddisfazione”.

Qui, ogni passo, ogni passaggio, ogni finta diventa un quadro vivido: ti vedi Johane sfrecciare, senti il pubblico esplodere e assapori la dolcezza di una supremazia che l’Italia aveva atteso per decenni. La narrazione non è solo tecnica, ma sensoriale: il calcio di Garbisi che “con la sua tomaia setosa” centra i pali, o il “syuuuuum” di Pani che imita Ronaldo, ci fanno rivivere l’estro e la gioia di un’Italia finalmente armoniosa.

Ma Panico non idealizza: sa che il rugby italiano è fatto di alti e bassi, e lo racconta con onestà. Nel capitolo 16, “Revival”, l’Italia del 2025 torna a balbettare contro il Galles, e l’autore riflette: “Siamo tornati a essere quelli che lavorano di malta e cazzuola, quelli che non ce la fanno a campare con serenità.” Questa immagine ruvida, quasi poetica, evoca la fatica di una squadra che avanza a fatica, eppure non molla. La meta di Capuozzo, descritta come un “tuffo di Klaus Dibiasi”, è un lampo di genio in un pomeriggio grigio, un momento di pura estasi che ci ricorda perché amiamo questo sport, nonostante le cadute.

L’autore intreccia il rugby con la sua vita, creando un legame intimo che rende il libro universale. Quando parla della Maremma, “Sembra di essere tornati in Irlanda, ci manca solo di trovare le pentole d’oro in fondo,” ci porta con sé in un rifugio di ulivi e tramonti, parallelo alla fedeltà incrollabile verso l’Italrugby. E nel glossario tecnico, con termini come “ruck” o “grubber” spiegati con passione, offre un ponte per i neofiti, invitandoli a scoprire le sfumature di un gioco che “rotola sul terreno di gioco come una frase di James Joyce rotola sulla sintassi.”

Un elemento che emerge con forza da “Poche ma buone” è l’orgoglio dell’appartenenza all’Italia, un sentimento che Panico coltiva e trasmette con intensità. Nel dedicare il libro “Ai ragazzi del 2000 che ci hanno regalato il sogno, ai ragazzi del 2025 che il sogno lo continuano,” l’autore celebra non solo le vittorie sportive, ma il legame profondo con una nazione che, nonostante le difficoltà, resta unita dalla passione per il rugby.

Questo orgoglio si riflette anche nella promessa finale: “Prima o poi metteremo anche noi le mani su quel trofeo di argento scintillante che a me sembra una moka da caffè in formato extralarge,” un’immagine che unisce l’identità italiana – con la sua iconica moka – alla determinazione di riscatto sportivo. È un invito a credere nell’Italia, a sostenerla con la stessa fedeltà che Panico descrive quando dice “Li amerò e non avrò mai bisogno di discuterli, passando oltre qualsiasi sciagura potranno architettare sul campo.” Questo orgoglio non è cieco ottimismo, ma un attaccamento viscerale a una squadra che rappresenta il cuore battagliero di un popolo.

Il rugby è come la vita: un campo pieno di scontri, placcaggi e momenti in cui cadi, ma l’importante è rialzarsi e spingere avanti insieme alla squadra. Ogni ruck è una sfida da superare, ogni meta un obiettivo conquistato con fatica. Non giochi da solo: hai bisogno di fiducia nei compagni, strategia per avanzare e resilienza per affrontare gli ostacoli. A volte prendi colpi duri, ma è proprio nei momenti più intensi che scopri quanto sei forte e quanto valgono le persone al tuo fianco.

Felice Panico, nato a Napoli il 4 luglio 1981, è un autore e regista dal talento versatile. Laureato in Saperi e Tecniche dello Spettacolo presso l’Università “La Sapienza” nel 2004, ha esordito come attore nello spettacolo Lo Scarfalietto diretto da Armando Pugliese, per poi affermarsi come regista con opere come Il Cappotto (2010, tratto da Gogol) e The Open Game (2015, adattamento del bestseller di André Agassi). Ha collaborato con il Teatro Stabile di Napoli, il Teatro della Toscana e il Teatro Stabile dell’Umbria, firmando anche L’Hai Visto Maradona? (2022) e il tributo a Ezio Bosso Musica Libera (2023). Dal 2010 dirige il laboratorio teatrale dell’Ente Teatro Pubblico Campano, e dal 2016 al 2019 è stato assistente di Maurizio Scaparro, ricevendo nel 2019 il Franco Cuomo International Award come Miglior Regista Emergente. Dal 2020 è aiuto regista di Ferzan Ozpetek. Come autore, ha pubblicato Musica dal Corpo (2010), Terzo Tempo (2013), C’è Mancato Poco (2018), Speciale (2022) e ora Poche Ma Buone (2025, Ultra Edizioni), un’opera che riflette la sua passione per lo sport e l’identità italiana.

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di Felice Massimo De Falco - 26 Aprile 2025