
Lotta alla criminalità
Prato capitale della mafia cinese: smantellato un sistema criminale che faceva capo a un evasore fiscale seriale
“Un evasore fiscale seriale socialmente pericoloso e un modello criminale unico per durata”
Non è un’azienda, è un modello. Non è un evasore, è un sistema. Quello smantellato dalla Guardia di Finanza di Prato, su richiesta della Procura diretta da Luca Tescaroli, non è un semplice caso di frode fiscale: è l’esempio cristallino di un meccanismo fraudolento reiterato, strutturato, blindato da consulenti compiacenti e da una ragnatela di prestanome. È il cuore economico, oscuro e tentacolare, di quella che la Commissione parlamentare antimafia ha chiamato senza esitazione: mafia cinese.
La misura epocale: applicata per la prima volta
Per la prima volta in Toscana, è stato applicato il codice antimafia a un baro del fisco, considerato socialmente pericoloso. Un imprenditore cinese, attivo dal 1999 nel settore tessile del distretto pratese, è stato raggiunto da una misura di prevenzione patrimoniale disposta dal Tribunale misure di prevenzione di Firenze. Un provvedimento epocale, perché rompe l’inerzia, recide la normalità della frode e dice che il reato economico organizzato è crimine mafioso a tutti gli effetti.
#GdiF #Prato applicato il codice Antimafia a un evasore fiscale socialmente pericoloso gestore di fatto di una filiera di imprese apri e chiudi. accertata una grave sproporzione patrimoniale, sequestrati immobili e società immobiliare utilizzati per la frode.#NoiconVoi pic.twitter.com/6bF7soesOa
— Guardia di Finanza (@GDF) April 11, 2025
«L’applicazione della prima misura nei confronti di un evasore fiscale seriale socialmente pericoloso, rappresenta un passo in avanti nel contrasto all’illegalità economica che corrompe il tessuto sano di Prato», scrivono in una nota i deputati di Fratelli d’Italia Francesco Michelotti e Chiara La Porta.
La mafia cinese a Prato
Il soggetto, formalmente nullatenente, nella sostanza reggeva le redini di almeno sette imprese fittiziamente intestate a prestanome, tutti cinesi come lui, secondo uno schema seriale di “apertura-chiusura” aziendale. La sua forza? La copertura professionale. Commercialisti e consulenti fiscali, strategicamente impiegati per mascherare la regia unica, predisporre bilanci inattendibili, redigere atti per eludere i controlli, schermare flussi di denaro. Il Tribunale ha scritto nero su bianco: «un modello unico per durata», avviato il 27 maggio 2021.
Oltre 3,5 milioni di euro il danno erariale, tra imposte, sanzioni e interessi. Un vortice di contanti svaniti, movimentati grazie a fatture false, dichiarazioni omesse, cessioni in nero. Imprese fantasma chiuse al primo soffio dell’Agenzia delle Entrate. Un meccanismo non solo illegale, ma scientifico, alimentato dalla connivenza di chi, nelle pieghe del diritto tributario, ha costruito una cittadella dell’impunità.
La guerra tra clan dentro il distretto
Eppure, purtroppo, c’è di più. A Prato, i regolamenti di conti si fanno con molotov, incendi dolosi e aggressioni brutali. Il 16 febbraio scorso, tre aziende — nel Macrolotto 2, a Seano e a Campi Bisenzio — sono state colpite da attentati incendiari identici a quelli visti in Francia e Spagna. Dietro uno degli attacchi ci sarebbe, secondo fonti investigative, il figlio di Zhang Naizhong, arrestato nel 2018 e salutato dai connazionali con il baciamano all’ingresso di un ristorante.
Era l’epoca dell’inchiesta Chinatruck, la guerra per il controllo della logistica. Oggi, sono le grucce a far esplodere la faida. Oggetto minuscolo, ma chiave di un’economia parallela che muove milioni.
Non è un caso che un ex militare dell’esercito cinese sia arrivato da Pechino per massacrare un connazionale, già condannato per omicidio, riducendolo in fin di vita. Non è un caso che in via Filzi tre cinesi provenienti da Francoforte siano stati aggrediti con inaudita violenza. Uno è in bilico tra la vita e la morte. Non è un caso che, accanto a un’auto incendiata in viale della Repubblica, sia apparsa una bara con sopra la foto di un cittadino cinese appena arrivato in Italia.
L’allarme della magistratura
Da mesi, il procuratore del capoluogo toscano Luca Tescaroli lancia l’allarme: «Nessuno ha mai compreso davvero e fino in fondo il fenomeno cinese in questa città». Ha chiesto l’apertura di una sezione della Direzione distrettuale antimafia a Prato per rafforzare le indagini. Giovedì scorso, il procuratore distrettuale antimafia Filippo Spiezia ha confermato: «Tali attività riguardano anche alcuni profili internazionali connessi alle vicende indagate».
Non si parla più solo di indagini che si fermano a Firenze. Si parla di un sistema che sconfina. Che si sviluppa tra Prato, Parigi e Guangzhou. Che passa per miliardi trasferiti in Cina, come nell’inchiesta Money Transfer, quando cinque miliardi di euro volarono in Oriente nel silenzio generale.
“Oggi, a Prato, lo Stato c’è”
A Prato si sono alternate inchieste su prostituzione, droga, gioco d’azzardo, traffico di clandestini. Non sempre i nomi coinvolti sono cinesi. Tanti gli italiani affondati nella palude: professionisti, forze dell’ordine, immobiliaristi, imprenditori, notabili locali. Il minimo comune denominatore ha un nome solo: denaro.
«Oggi, a Prato, lo Stato c’è», scrivono Michelotti e La Porta. «La norma voluta dal governo Meloni contro le “apri e chiudi” conferma di essere uno strumento più che efficace contro i reati economici».